Il Libano devastato dalla crisi economica e finanziaria è un lungo elenco quotidiano di merci e prodotti inaccessibili a un gran numero di abitanti e di medicine introvabili. Mentre nuovi poveri si aggiungono ai poveri. Si moltiplicano le proteste. L’ultima in ordine di tempo è quella delle panetterie contro il ministro dell’economia Raoul Nehme che non terrebbe conto a sufficienza dell’impatto che l’aumento del costo del carburante, peraltro introvabile, ha sulla produzione del pane. Senza contare l’esaurirsi delle scorte di farina. Appena qualche giorno fa Save the Children ha avvertito che la quantità di cibo in tavola per i bambini nel paese dei cedri si riduce di giorno in giorno, poiché i prezzi del pane sono saliti nell’ultimo periodo di un altro 11% a causa dell’aggravarsi della crisi. Un sacchetto di focaccia costa 5.000 lire libanesi nei supermercati, oltre il triplo rispetto all’anno scorso, un effetto dell’impennata dei prezzi del carburante e del collasso dell’economia. Sono una goccia nel mare della crisi gli aiuti per 10 milioni di dollari annunciati ieri dal segretario generale per gli affari umanitari e il coordinatore dei soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, «per evitare un deterioramento della situazione nel paese». Saranno destinati a due milioni e 300mila persone in tutto il Libano e per fornire carburante sufficiente per far funzionare le stazioni di pompaggio idrico e ridurre la penuria di acqua potabile che sta colpendo migliaia di famiglie in tutto il paese.  La mancanza di combustibile e il mancato funzionamento dei generatori autonomi sta anche limitando diversi servizi ospedalieri a causa dell’assenza di elettricità.

La politica – che con le sue divisioni da un anno non riesce a dare vita a un nuovo governo – è uno dei motivi dietro la penuria di carburante. Ogni tanto però arriva qualche buona notizia.  L’esecutivo (dimissionario) ha annunciato ieri che il combustibile per alimentare le centrali elettriche, generatori di corrente e pompe idrauliche, arriverà la settimana prossima dall’Iraq passando per gli Emirati. Una delegazione governativa nei prossimi giorni si recherà a Damasco per negoziare il passaggio attraverso il territorio siriano, di energia elettrica dalla Giordania e di gas naturale dall’Egitto. Ma all’orizzonte già si intravede uno scontro interno su una ulteriore fornitura di petrolio che i vertici del movimento sciita Hezbollah hanno comprato dall’alleata Tehran. Il petrolio iraniano arriverà con tre navi cargo diverse: la prima si trova presso lo stretto di Suez, la seconda deve ancora partire dai porti iraniani e la terza ancora non ha caricato il combustibile. Arriverà se non ci saranno «intoppi». Impegnato in una guerra a distanza con l’Iran, Israele, stando a notizie circolate nei mesi passati, avrebbe messo fuori uso in vario modo diverse petroliere iraniane. Tehran ha ricambiato colpendo navi mercantili gestite o di proprietà di compagnie israeliane.

Anche il combustile procurato da Hezbollah – o più precisamente comprato da ricchi imprenditori legati al movimento sciita – serve come l’acqua al Libano nel baratro della crisi. Ma il governo di Beirut deve rispettare il regime di sanzioni Usa contro le importazioni del Libano di materie prime e prodotti dall’Iran. E ha fatto sapere di non aver ricevuto sino ad oggi alcuna richiesta per autorizzare l’ingresso del combustibile iraniano in arrivo al porto di Beirut. La vicenda è un test per l’Amministrazione Biden chiamata a decidere se proseguire sulla strada delle sanzioni approvate da Donald Trump contro la Siria, oltre all’Iran, che colpiscono anche il Libano. Oppure se allentare la morsa stretta intorno a Hezbollah, alleato di Tehran, che di fatto strangola tutto il Libano e contribuisce ad aggravare le condizioni di vita della popolazione.