«Si fanno varie ipotesi sulla violenza della polizia palestinese contro i dimostranti. È possibile che l’Anp abbia voluto dare una dimostrazione di forza, per smentire la sua debolezza». Hamada Jaber, analista del Palestinian Center for Policy and Survey Research (Psr), offre chiave di lettura del brutale intervento due giorni fa dei reparti antisommossa dell’Anp, prima contro dimostranti e giornalisti a Ramallah e poi nei confronti di un corteo partito dal campo profughi di Dheisheh (Betlemme). «Abu Mazen – aggiunge – non vuole mostrarsi fragile ora che ha ricevuto da Trump l’invito ad andare alla Casa Bianca, segnala di avere il controllo della situazione e che non è in discussione il coordinamento di sicurezza tra l’Anp e Israele». Una ipotesi concreta, rafforzata dal prossimo arrivo alla Muqata, il quartier generale del presidente palestinese, di Jason Greenblatt, inviato di Trump per la questione israelo-palestinese, che ieri sera ha incontrato a Gerusalemme il premier israeliano Netanyahu, con il quale ha discusso degli insediamenti coloniali in Cisgiordania.

La tensione generata dalla cooperazione tra i servizi dell’Anp e quelli israeliani, si è fatta acuta per la vicenda di Basel al Araj, prima arrestato dall’Anp e poi, dopo la sua scarcerazione, finito nell’elenco dei ricercati da Israele e infine ucciso qualche giorno fa a Ramallah dall’esercito di occupazione. Per Israele era un «terrorista» e nella sua abitazione-rifugio di Ramallah sarebbero state trovate delle armi. Tutto falso, ribattono i palestinesi. Al Araj era un intellettuale e un attivista che aveva preso parte a raduni, proteste, iniziative politiche e non ad attività armate. I suoi guai, ricordano molti, sono cominciati un anno fa quando fu arrestato assieme ad altri cinque palestinesi dalla polizia dell’Anp con l’accusa di possesso di armi e di aver progettato attacchi contro Israele. Accuse che l’Anp non accreditò con prove e i sei furono messi agli arresti “amministrativi” (la carcerazione senza processo). Liberati dopo sei mesi e un lungo sciopero della fame, quattro degli arrestati furono subito arrestati dall’esercito. Al Araj invece riuscì a darsi alla latitanza durata fino al blitz israeliano della scorsa settimana a Ramallah. La commozione generata dalla sua uccisione si è trasformata in rabbia dopo l’annuncio dell’inizio di un processo a Ramallah a carico degli altri cinque palestinesi arrestati e liberati un anno fa con al Araj (quattro sono in un carcere israeliano).

Da qui le proteste di domenica davanti al Tribunale. Decine di persone sono state allontanate dalla polizia con violenti colpi di manganello e gas lacrimogeni. Presi di mira anche i giornalisti. Tra i contusi ci sono il padre di al Araj e Khader Adnan, un ex detenuto politico in Israele divenuto noto un paio d’anni fa per un lungo sciopero della fame contro la sua detentione. Ad Artas dove, sempre domenica, era giunto un corteo di protesta partito da Dheisheh, la polizia palestinese avrebbe sparato anche munizioni vere contro i dimostranti.
Centinaia di manifestanti ieri sono tornati a gremire Manara, la piazza centrale di Ramallah, per scandire slogan contro Abu Mazen e la cooperazione di sicurezza con Israele. Il premier dell’Anp Rami Hamdallah ha annunciato un’indagine sulle violenze della polizia ma non è servito a placare gli animi. Khalida Jarrar, deputata del Fronte popolare (Fplp), ha comunicato che, in segno di protesta, la sua organizzazione potrebbe rinunciare a partecipare alle amministrative palestinesi previste il 13 maggio.