L’esito delle elezioni in Germania di settembre lasciava pochi dubbi, ma ora siamo praticamente alla certezza: entro fine anno nascerà il governo di Grosse Koalition fra democristiani (Cdu-Csu) e socialdemocratici (Spd). Salvo imprevisti, le formali trattative che cominceranno mercoledì – e che si prevede durino al massimo un paio di mesi – porteranno le due principali forze politiche tedesche a siglare il patto per la formazione di un governo di larghe intese, guidato ancora dalla cancelliera uscente Angela Merkel.

Oggi l’assemblea nazionale (Parteikonvent) della Spd è chiamata a dare lo scontato via libera all’inizio di questa seconda fase di colloqui, dopo che i precedenti incontri «esplorativi» fra i vertici avevano fatto registrare l’esistenza di margini per un’intesa. Decisiva, a quanto si apprende dalle ricostruzioni di stampa, sarebbe stata la disponibilità mostrata dai democristiani ad andare incontro ai socialdemocratici su uno dei temi che a questi ultimi sta maggiormente a cuore: l’introduzione di un salario minimo legale interprofessionale di 8,5 euro.

Una misura considerata nociva dai settori ultras del neoliberismo (rappresentati da think tank come l’Istituto per la ricerca economica Ifo) e caldeggiata, invece, dai sindacati, oltre che dalle altre forze politiche progressiste. Se su questo punto riuscisse ad ottenere dalla Cdu-Csu un impegno nero su bianco, lo stato maggiore della Spd avrebbe un argomento molto forte per convincere la propria base, che dovrà dare, in ultima istanza, il proprio consenso al patto con i democristiani. Ed è proprio il referendum vincolante fra gli iscritti a rappresentare l’unico possibile ostacolo in grado di mandare in crisi il disegno della «grande coalizione».

È lecito attendersi, dunque, che all’apertura di Merkel sul salario minimo legale ne seguiranno altre, che siano in grado di soddisfare i circa 490mila militanti socialdemocratici. Come, ad esempio, l’impegno ad aumentare gli investimenti dello stato centrale nell’istruzione e nei servizi sociali, gestiti dai Länder e dai comuni, e nel miglioramento delle infrastrutture stradali e ferroviarie: quando vale per la Germania e non per il resto d’Europa, la cancelliera può farsi andar bene anche un po’ di keynesismo.

Strada sbarrata, invece, a quanto sembra, alle richieste della Spd di introdurre una tassa patrimoniale e di aumentare l’aliquota massima dell’imposta sui redditi: per i democristiani accettarle significherebbe una clamorosa smentita delle promesse elettorali. Su questo punto è ipotizzabile che nelle trattative ci saranno turbolenze, ma non al punto da far saltare il banco. Se i soldi per gli investimenti si troveranno lo stesso anche senza crescita della pressione fiscale sui più ricchi, i socialdemocratici non saliranno sulle barricate: il segretario Sigmar Gabriel ha più volte ricordato che «l’aumento delle tasse non è un fine in sé, ma solo un mezzo», al quale sarebbe meglio ricorrere solo come extrema ratio.

Mentre Spd e democristiani si incamminano verso la terza «grande coalizione» dal dopoguerra, i Verdi celebrano questo fine settimana uno dei congressi federali più importanti della loro storia recente. Esce di scena la vecchia guardia, e soprattutto si compie una svolta strategica di grande rilievo: nella mozione approvata unitariamente dalle due correnti del partito (moderati e sinistra) si dice che d’ora in avanti i Grünen potranno allearsi sia con la Cdu-Csu, sia con la Linke. È la fine del rapporto esclusivo con la Spd: ogni coalizione sarà possibile, «decisivi saranno i programmi».