La proposta di Joe Biden di liberalizzare i brevetti dei vaccini anti-Covid fa irruzione al vertice di Porto sull’Europa sociale e mette in difficoltà la Ue, che è il primo contribuente al meccanismo Covax dell’Oms (trasferimenti di vaccini ai paesi poveri) e finora è stata la sola potenza economica occidentale a esportare dosi nel mondo (200 milioni, il 50% di quelle prodotte nella Ue), mentre Usa e Gran Bretagna hanno bloccato l’export, Biden invitato al Consiglio europeo del 25 marzo non aveva proposto nessuna dose all’Europa in preda alla penuria.

LA UE È SPIAZZATA, finora si è opposta alla liberalizzazione in sede Wto: i leader dei 27, non tutti presenti di persona in Portogallo (Angela Merkel, l’olandese Mark Rutte e il maltese Robert Abela erano collegati in video) ieri sera a cena hanno cercato di mettere a punto una posizione, anche in vista del video-vertice di oggi con l’India, che da mesi chiede la sospensione dei brevetti.

La Germania è molto reticente, Emmanuel Macron ha ricordato di aver difeso dall’inizio l’idea del vaccino «bene comune», ha chiesto agli «anglosassoni di permettere l’export» ed è appoggiato da Mario Draghi, anche se per il momento questa posizione non si è tradotta in nessuna iniziativa clamorosa, come invece ha fatto Biden. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sottolinea che il problema attuale è aumentare le capacità di produzione di dosi, e la Ue è «pronta a discutere su come la proposta Usa possa permettere di raggiungere questo obiettivo». Il commissario al Mercato interno, sottolinea che «un trasferimento di brevetti vedrebbe la produzione iniziare tra un anno-14 mesi, solo l’anno prossimo, quando saremo riusciti a aumentare la produzione nelle nostre fabbriche, potremmo porci questo quesito».

IL COVID È UN TERREMOTO per la tenuta sociale. La presidenza del Portogallo, l’eterno parente povero del blocco, oggi tornata al centro dell’attualità, in un mondo molto diverso da quello del vertice di Gothenburg nel 2017, ha voluto rilanciare il tema. Nelle società europee è più forte la domanda di protezione, e non solo per i vaccini, per 9 cittadini su 10 l’Europa sociale è importante. Le diseguaglianze si sono esasperate con il Covid. «La prima cosa che chiediamo ai governi – è il messaggio a Porto di Luca Visentini, alla testa della Confederazione europea dei sindacati – è di garantire che le misure di emergenza non finiscano, fino a quando non c’è la ripresa e nuova occupazione creata».

Nella dichiarazione finale della prima giornata di incontri a Porto, i 27 si «impegnano a diminuire le diseguaglianze, lottare contro l’esclusione sociale e combattere la povertà». La Commissione propone, all’orizzonte 2030, tre obiettivi: far salire il tasso di occupazione al 78% (nel 2019 era 73%), offrire al 60% dei lavoratori una formazione continua (oggi 40%), per favorire la transizione Green e digitale del NextGenerationEu, ridurre di 15 milioni il numero dei poveri, oggi 91 milioni (20 milioni di bambini). C’è il programma Ease, politica a sostegno della riconversione nel lavoro per uscire dalla crisi post-Covid, che in una prima fase si è tradotto in Sure, 100 miliardi (di cui 90 già utilizzati) che hanno aiutato a pagare con soldi pubblici 40 milioni di salariati del settore privato che non hanno potuto lavorare a causa del Covid.

PIÙ PROBLEMATICA, invece, la proposta della Commissione sul salario minimo nei 27 paesi Ue, che per il momento esiste solo in alcuni, volta a favorire a termine maggiore convergenza. Sono favorevoli Francia, Spagna, Portogallo, anche Italia, che pure non ha un salario minimo. Forti riserve, invece, di Danimarca, Svezia e Austria, che mettono avanti una tradizione di trattative sindacali e non vogliono che l’ultima parola sui salari dipenda dalla Corte di Giustizia. L’est si oppone per non perdere il vantaggio competitivo di bassi salari, che attirano investimenti. Evidentemente, la Commissione non propone un salario minimo uniforme per i 27, ma che tutti rispettino la norma di un salario minimo interprofessionale non inferiore al 60% del salario mediano del paese (metà dei salariati guadagna di più, metà di meno, diverso dalla media dell’insieme dei salari).

La difficoltà di portare avanti un’Europa sociale è illustrata dall’esempio negativo della proposta di Bruxelles di avere il 40% di donne nei consigli di amministrazione: è sul tavolo dal 2012, ma 8 paesi la stanno bloccando.