L’Italia è al quinto posto tra i paesi Ocse nella classifica relativa del peso della tassazione sui salari. Il fisco e i contributi cancellano quasi metà delle retribuzioni italiane (47,8%) e sono più alte di dieci punti rispetto alla media europea, ha stimato la Corte dei Conti. Nel caso di una famiglia monoreddito con due figli questo rapporto è più alto di 12 punti. Per le famiglie composte da una coppia monoreddito con due figli le tasse e i contributi sociali totali pesano per il 38,6% del costo del lavoro, il terzo dato più alto nell’area Ocse.

Il costo del lavoro medio per un lavoratore single senza figli in Italia è a 55.609 dollari, maggiore della media Ocse ferma a 50.214. Il reddito netto in busta paga per un lavoratore dipendente crolla a 29.045 dollari, un valore più basso rispetto alla media Ocse (31.607). Per le coppie sposate con due figli il costo del lavoro in media in Italia è di 73.960 dollari, superiore a quella Ocse di oltre 7 mila dollari. Quanto al reddito netto, l’Italia scende in media a 45.592 dollari sotto la media Ocse (47.486 dollari). Per quanto riguarda le imprese pagano il 24,2% del totale, i contributi pesano per il 7,2% e la tassazione sul reddito per il 16,4%. L’impegno dichiarato dall’ex governo Renzi a diminuire con una pioggia di bonus – pari a 21 miliardi di euro (stima Cgia) – il peso delle tasse sul lavoro e sull’impresa si è tradotto in nulla. Secondo i dati contenuti nel rapporto annuale «Taxing Wages» dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) il cuneo fiscale è diminuito rispetto al 2015 di 0,1 punti per le famiglie e di 0,08 per i single, mentre Francia e Finlandia lo hanno ridotto rispettivamente di 0,47 e 0,34 punti e di 0,30 e 0,22 punti. Le tasse italiane sono inferiori solo a quelle in Germania dove il cuneo fiscale – ovvero la percentuale di quanto pagato in tasse e contributi sociali da lavoratore e impresa meno i benefici familiari ricevuti – è arrivato al 49,4% nel 2016. Più in alto c’è solo il Belgio, con il 54%.

«Il sistema – sostiene la segretaria Cgil, Susanna Camusso, pesa molto sui redditi dei dipendenti e poco sul patrimonio. Bisogna allungare la coperta». «Abbiamo un costo del lavoro più alto della media europea e salari reali più bassi – sostiene Carmelo Barbagallo (Uil) – senza il recupero del potere di acquisto e dei salari l’economia non riparte visto che il 70% delle imprese si rivolge alla domanda interna».

«Non si può aspettare il 2018 per fare la riforma dell’Irpef e ridurre la pressione fiscale. Bisogna farlo subito» aggiunge Anna Maria Furlan (Cisl). Il governo Gentiloni sembra orientato a continuare la politica dei bonus. Allo studio ci sarebbe una riduzione dell’impatto fiscale per i lavoratori under 35 neo-assunti e limitatamente al primo impiego stabile, oltre a sgravi fiscali legati alla produttività delle imprese. Una prospettiva che non soddisfa il presidente della commissione lavoro alla Camera, Cesare Damiano (Pd): «La prossima manovra finanziaria, se affronterà il tema del costo del lavoro e del cuneo fiscale, dovrà evitare di riproporre gli incentivi a termine – afferma – Il modello Jobs Act a “spinta” è fallito e droga il mercato del lavoro».

Il cuneo fiscale altissimo è diventato anche materia della gara alla segreteria del Pd. Il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, sostenitore di Michele Emiliano alle primarie, pensa che «non sono più tollerabili i bonus o gli incentivi spot ma politiche strutturali. Serve una decontribuzione piena sul lavoro per sempre, per abbassare nettamente il costo del lavoro e aumentare i salari netti».
Le critiche ai nuovi bonus in arrivo arrivano anche dalle associazioni imprenditoriali: «Si tratterebbe della prosecuzione del Jobs act con altri mezzi, nuovi incentivi che funzioneranno come un doping sul mercato del lavoro fino al fatale appuntamento con il rinculo occupazionale al termine temporale degli incentivi» sostiene Stefano Ruvolo, presidente di Confimprenditori. Per Carlo Rienzi, presidente Codacons, «la tassazione sui salari è abnorme e contribuisce a impoverire il ceto medio. Agli annunci spot degli ultimi governi non sono mai seguiti fatti concreti». Il tentativo di abbassare le tasse e spargere a pioggia bonus fiscali è fallito.