Le previsioni economiche sull’Italia restano positive, ma ci inchiodano al ruolo di fanalino di coda del treno europeo. Anche Confindustria conferma che la produzione industriale vive un buon momento, ma afferma anche che la distanza con la situazione pre-crisi resta notevole.

Al di là delle ricette economiche di breve periodo, come è la manovra del governo, occorrerebbe chiedersi dove possiamo arrivare come sistema Paese quando l’inflazione resta bassa, il carrello della spesa aumenta, mentre le retribuzioni restano al chiodo, come se solo per loro la recessione fosse ancora in vigore. E sarebbe utile affrontare il fatto che siamo in presenza di una questione salariale nazionale e quello di un peso eccessivo del fisco sui salari con la necessità di una detassazione più compiuta.

Lo scenario economico generale richiede una crescita non occasionale dei consumi interni anche per rafforzare la crescita del Pil, necessaria anche per investimenti e riduzione del debito. Ma Confindustria è pronta ad affrontare questa tematica?

Sembra che la recente tornata contrattuale, che ha visto le grandi categorie rinnovare i contratti senza un ruolo propositivo di Confindustria, non sia servita molto all’Associazione, che, anzi, in uno dei recenti documenti sulle relazioni industriali con il pretesto di semplificare i contratti nazionali, affidando loro la definizione pura e semplice del salario minimo, in realtà propugna una linea di “risparmio” salariale.

Situazione, che ritroviamo anche nella nostra categoria, dove, da un lato, abbiamo un percorso positivo con Federchimica e Farmindustria con un documento chiamato “Patto per innovazione, produttività, occupabilità e responsabilità sociale”, nel quale il contratto viene inserito nel contesto dei grandi mutamenti senza fughe di responsabilità; all’opposto, viviamo nel settore gomma-plastica forti resistenze della controparte ad affrontare materie contrattuali che sembrano alimentarsi da una fonte confindustriale, piuttosto che da quella dello stato del settore.

Un’ambiguità di fondo, che si muove in parallelo con l’atteggiamento generale di una Confindustria più adagiata sulle concessioni del governo, che volta a recuperare un ruolo progettuale. E viene spontaneo chiedersi di quale forza rappresentativa goda l’attuale Confindustria se i contratti, per giunta innovativi, si rinnovano a prescindere dalle sue convinzioni.

La realtà economica del Paese pone la questione salariale sempre più come centrale e nazionale e deve essere affrontata con realismo. Lo hanno capito anche in Germania dove le rivendicazioni salariali hanno ripreso quota. Insomma, è necessario ricominciare a redistribuire la torta economica. Un processo che vede perfino la Bce di Draghi “complice” quando individua la necessità di potenziare l’inflazione da salari, affermazione sulla quale Confindustria tace.

L’anno prossimo ricorre il 50esimo dalle lotte e conquiste sindacali che hanno fatto degli anni 1968-69 un momento di svolta della nostra storia. Una lezione da tenere a mente oggi più che mai.

*Segretario generale Uiltec Uil