La giunta milanese c’è rimasta male. Non sapevano o dormivano. O forse sapevano ma non pensavano che la polizia arrivasse al galoppo. Meglio ancora, sono stati avvisati ma all’ultimo minuto, quindi non in tempo utile per distribuire caramelle e pacche sulle spalle ai rastrellati di razza non caucasica durante l’Apocalypse Now scatenata della questura per catturare 52 stranieri in stazione.

“A cosa servono operazioni come queste?” – si rabbuia l’assessore Pierfrancesco Majorino (Pd) che sta cercando di organizzare una manifestazione per l’accoglienza il prossimo 20 maggio. Forse a liberarne immediatamente una quarantina, o a complimentarsi con quei quattro fortunati che hanno saputo di avere diritto al permesso di soggiorno grazie alla prima retata etnica dell’era Minniti. Non erano criminali. Per decoro, bastava un sms (comunque di “Igor il russo” nemmeno l’ombra).

L’unico che ha qualcosa da ridire, con i dovuti modi, è il sindaco Beppe Sala. Senza nemmeno prendere in considerazione lo scarso materiale umano che lo circonda per esistere (gli esponenti del Pd che rivendicano il blitz come fa Matteo Salvini), il sindaco ieri si è rivolto direttamente al titolare della deriva poliziesca. Vuole riflettere con lui. “Il decreto Minniti – spiega Sala – attribuisce vari ruoli a questura, prefettura e sindaco ed è necessario rifletterci assieme. Credo che sia ancora più necessario vedersi”.

Non critica la questura ma certe operazioni preferirebbe concordarle, anche per non compromettere l’immagine della sua accogliente “Milano international”. Dice anche una cosa ovvia che sfugge ai certi suoi colleghi di giunta, “credo che sia chiaro a tutti che i migranti quando arrivano in Sicilia o in altri porti italiani sono tutti censiti, è una favola che i migranti sono in giro e non si sa chi sono”. E ancora: “Il vero tema è il loro diritto o meno a rimanere sul nostro territorio e sul tema dei diritti non si scherza, noi abbiamo il dovere di rispondere in tempi giusti a chi chiede asilo”. Chiede verifiche tempestive, possibilmente non a cavallo.

I distinguo del sindaco hanno silenziato l’ala più trinariciuta del Pd milanese, non Salvini che insiste nel dettare il programma al “laboratorio Milano” che un tempo riempiva di orgoglio il ritrovato capo del Pd: “E’ incredibile che si lamenti invece di complimentarsi con le forze dell’ordine, spero che le stesse operazioni di pulizia di massa avvengano in decine di periferie”.

In questo clima avvelenato, Sala continua a sponsorizzare la marcia per l’accoglienza del 20 maggio, “è confermatissima, io ci sarò, condivido lo spirito”. Il sindaco, riferendosi al blitz, ammette che c’è un problema: “Magari si può vedere una contraddizione, un paradosso, ma proprio per questo spero in una marcia ancora più viva e partecipata”. Il paradosso più evidente – e sottaciuto – però è un altro: non si può partecipare ad una manifestazione sull’accoglienza pensata da una giunta governata dal Pd senza affrontare il nodo della legge sull’immigrazione Minniti-Orlando. Costruiranno centri di detenzione, si scateneranno altre retate razziste, i libici interneranno i migranti, altri moriranno nel deserto o continueranno ad affogare nel Mediterraneo. La questione segna un’epoca, non si tratta di ordine pubblico e pagliacciate a cavallo.

Di questo stanno ragionando le associazioni antirazziste e i centri sociali che il 20 maggio intendono esserci ma a modo loro (tra cui Asgi, Naga, Todo Cambia, Cantiere, Macao, Zam). Milano non è Barcellona, è bene che qualcuno lo faccia sapere ai politici del Pd che la governano raccontandola come se fosse un mondo a parte.