Arriverà l’autunno e arriverà il processo d’appello, dove sceglierà se rinunciare o meno alla prescrizione. Nel frattempo questa condanna a sei mesi per falso resterà nel profilo di Beppe Sala come una macchia, non grossa, ma neanche invisibile, che sbiadirà col passare del tempo fino al momento di svolta vero, quando tra un anno Sala deciderà se ricandidarsi a sindaco di Milano o buttarsi nella politica nazionale.

UNA SENTENZA che forse lascerà tracce più sul modo di fare di Sala, persona particolarmente orgogliosa del proprio lavoro. I suoi avversari politici, la Lega innanzitutto, proveranno a far pesare questa condanna quando il sindaco di Milano tornerà ad esempio a sedersi al tavolo organizzativo delle Olimpiadi, lì dove il sottosegretario leghista Giorgetti aveva già messo le mani avanti sulla nomina dei futuri manager e Sala lo aveva stoppato: «La politica faccia un passo indietro», aveva detto il sindaco riferendosi proprio all’esperienza manageriale con Expo 2015. Ora quell’esperienza è macchiata da questa condanna per falso materiale e l’amarezza di Sala è stata evidente alla lettura della sentenza: il volto scuro e la sorpresa per essere l’unico condannato in questo filone processuale dove i manager imputati con lui sono stati tutti assolti. Lui no, perché da amministratore delegato la firma su quei due verbali era la sua.

Una firma arrivata dopo 13 giorni di discussioni, a cui Sala non aveva partecipato, tra i manager e gli avvocati di Expo Spa. Discussioni che poi portarono alla scelta di retrodatare i verbali di nomina di due commissari considerati incompatibili con quel ruolo nella commissione del bando sulla Piastra. «Avvocati incapaci che hanno fornito a Sala una soluzione sballata», ha detto ieri in aula uno dei due legali del sindaco, Stefano Nespor. «Avvocati incompetenti nominati dalla Regione Lombardia che hanno dirottato le decisioni».

QUELLO CHE SI È CHIUSO IERI in primo grado è stato un processo controverso, figlio dello scontro tra l’ex capo della Procura di Milano Edmondo Bruti Liberati e il procuratore Alfredo Robledo prima e tra la Procura della Repubblica di Milano e la Procura Generale poi, con una richiesta di pena di tredici mesi finita in una condanna a sei e con l’attenuante di aver agito «per motivi di particolare valore sociale». Per Sala i prossimi due anni da sindaco non sono in discussione: «Questa condanna non produrrà effetti sulla mia capacità di sindaco, continuerò a svolgere il mio lavoro con la dedizione che i milanesi conoscono. Di guardare avanti in questo momento ovviamente non me la sento», ha detto il sindaco pochi istanti dopo la lettura della sentenza. «Una sentenza del genere dopo sette anni dai fatti per un vizio di forma che non ha prodotto nessun effetto credo che allontanerà tanta gente onesta, capace e perbene dall’occuparsi della cosa pubblica. I sentimenti che ho dentro ora sono negativi ma credo siano giustificati. La mia conclusione è che qui oggi è stato processato il lavoro e io di lavoro per la comunità ne ho fatto tanto».

UN SINDACO AMAREGGIATO a cui è arrivato il sostegno di tutti i suoi assessori e della sua maggioranza, dal Pd a Sinistra X Milano, a Milano Progressista. «Noi assessori della giunta comunale di Milano esprimiamo pieno sostegno al sindaco e confermiamo stima e fiducia nel suo operato, caratterizzato da sempre dalla massima cura e attenzione per il bene pubblico e per la nostra Milano», ha scritto a nome di tutti gli assessori la vicesindaco Anna Scavuzzo. Anche il Pd nazionale con Zingaretti ha espresso fiducia a Sala «continui a guidare Milano, la sta trasformando in una delle città più belle e meglio organizzate d’Europa».
Il Movimento 5 Stelle milanese ha chiesto le dimissioni, Forza Italia aspetta la sentenza definitiva. La Lega a livello locale ha fatto la voce grossa con il capogruppo Alessandro Morelli – «Milano non si merita questo» – mentre Salvini ha commentato tra il magnanimo e il sibillino: «Da milanese sono orgoglioso di come è stato gestito Expo. Se c’è stato un errore verificheremo di che tipo di errore si tratta. Da milanese non festeggio se il mio sindaco viene condannato».

Tolti gli Expocritici, quello che Sala ha fatto per Expo non è messo in discussione da nessuno. Scaricare Sala significherebbe scaricare quel modello e la città che in questo ne è interprete: Milano. C’è un nodo tutto politico a monte che la sentenza non scioglie: il motivo per cui Sala ha messo quella firma. E il motivo è che quella firma è arrivata per permettere a Expo di avviare i cantieri e non aggravare i ritardi accumulati dal duo Formigoni-Moratti, una firma messa per permettere alla politica nazionale di non fare la figuraccia del secolo e che ha anticipato quello che sarebbe successo l’anno seguente: la nomina di Sala a commissario straordinario da parte del governo Letta.