Come ogni sera, verso le dieci, sulla pagina facebook della presidenza tunisina appare una scritta blu su sfondo bianco: balagh, comunicato. Sopra, una frase. Senza troppe spiegazioni, così vengono annunciate le nuove misure decise dal presidente Kais Saied, che da ormai dieci giorni continua a scandire il ritmo della vita politica del paese con le sue ordinanze presidenziali.

La purga del presidente – che licenzia, sostituisce, nomina – non si ferma: martedì sera, la sua pagina facebook ha comunicato il ritiro dell’ambasciatore tunisino a Washigton, Nejmeddine Lakhal. Soltanto una settimana fa, la porta voce della Casa Bianca si era detta «preoccupata per la transizione democratica», senza però qualificare le azioni di Saied come un vero e proprio colpo di Stato.

Una dichiarazione che non sembra esser piaciuta al palazzo di Cartagine. Sono sempre di più le teste che saltano non solo fuori dai confini tunisini, ma anche e soprattutto a livello locale: il governatore della regione di Sfax (secondo polo economico del paese) è stato licenziato, così come vari consiglieri dell’ormai ex governo Mechichi ed esponenti locali vicini al partito di maggioranza Ennahda e al suo alleato ultraconservatore Al-Karama, contro cui sembrano concentrarsi le operazioni più recenti.

Persa l’immunità parlamentare, neanche i deputati sfuggono più alla giustizia, invocata dall’ex professore di diritto eletto a capo dello Stato come l’unica soluzione possibile per metter fine alla corruzione dilagante.

Oltre al parlamentare indipendente critico di Saied Yassine Ayari – arrestato a casa sua – sono quattro i deputati di Al-Karama contro cui è stato emesso un mandato d’arresto, due finiti in detenzione provvisoria. I parlamentari risultano indagati per un affare che risale a qualche mese fa: volevano convincere le forze di sicurezza dell’aeroporto di Tunisi a lasciar imbarcare una donna sottoposta a misure di sorveglianza speciali e divieto di viaggio.

Sulla vicenda, su cui non è ancora stata fatta chiarezza, è stata aperta un’inchiesta la settimana scorsa. Come in questo caso, sono diverse le inchieste giudiziarie che procedevano a rilento su cui ora si preme l’acceleratore. Ad occuparsene è però la giustizia militare: venerdì, Amnesty International Tunisia si è detta inquieta rispetto al ricorso frequente a tribunali militari per processi di civili facendo riferimento al caso di Yassine Ayari, più volte perseguito per «diffamazione e oltraggio dell’istituzione militare», non solo sotto Kais Saied.

Il ruolo che assumerà l’esercito durante questa fase di transizione resta parte delle incognite, anche se va ricordato che nell’ex dittatura di polizia l’apparato militare non rappresenta un’istituzione con poteri politici ed economici influenti come nei vicini Egitto ed Algeria, pur godendo di una certa popolarità. Kais Saied ha confidato ai militari anche la gestione della grave crisi sanitaria, organizzando questa domenica una campagna di vaccinazione destinata agli over 40.

Tra i vari punti di domanda, oltre alla nomina del nuovo primo ministro, c’è anche la sorte di Hichem Mechichi dopo la pubblicazione da parte dell’Istanza Nazionale per la Prevenzione della Tortura di un comunicato che avverte: «non abbiamo notizie sul suo stato attuale». Il leader di Ennahda Rached Ghannouchi, invece, è finito in ospedale per un malore.

Ha però fatto in tempo a parlare ai microfoni europei per mettere in guardia sul rischio terrorismo e immigrazione proprio mentre parte del partito chiedeva le sue dimissioni. Così lui ha fatto che rimandare la riunione della Shura per evitare conflitti interni. Nel frattempo Kais Saied ha rassicurato un gruppo di giornalisti stranieri convocati a Cartagine dopo esser stati fermati, e ha fatto sapere: “io odio i colpi di Stato”.