Regista, alla Mostra di Venezia nel 2019 con un film sull’aborto (Hava, Maryam, Ayesha),Sahraa Karimi, prima di provare a fuggire, come migliaia di altri suoi connazionali, ha lanciato una richiesta di aiuto: per gli artisti, per le donne, per tutti coloro che rischiano di essere perseguitati dai Talebani di nuovo al potere.

«Nonostante l’immagine che stanno esibendo agli occhi del mondo i Talebani sono sempre gli stessi, la loro idea di società e feudale e patriarcale, e calpesta prima i dirittti delle donne» dice Karimi, che non crede alle promesse fatte dal portavoce dei talebani di una transizione pacifica, senza violenze né ritorsioni contro i cittadini, in particolare quelli di Kabul.

Lanciato il forma di lettera aperta sui social media di tutto il mondo, e ripreso da molti media internazionali, tra cui «Variety», l’appello di Karimi si rivolge in particolare all’occidente che non deve rimanere inerte. Scrive la regista che in altre immagini è stata vista correre via nella folla: «I Talebani ridurranno noi donne al silenzio, ci spingeranno nell’ombra delle nostre case, privandoci di ogni diritto a cominciare da quello dell’istruzione. Lo abbiamo visto già questi giorni, con la devastazione di molte scuole…».

E aggiunge: «Ciò a cui ho lavorato come regista con tanta fatica in questi anni sarà distrutto. I Talebani proibiranno ogni espressione artistica, io e altri registi saremo i primi a finire sulla loro lista, saremo arrestati o anche uccisi se rimaniano qui».

«Le donne del mio Paese non devono marcire dietro le tende e nelle case, non si possono abbandonare quelle persone che per anni hanno cercato la pace» ha scritto invece in un tweet, criticando la decisione americana lo scrittore afghano Khaled Hosseine, autore di Il cacciatore di aquiloni da cui è stato tratto l’omonimo film