Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva fissato per lo scorso venerdì un incontro relativo al dossier sul Sahara occidentale con la relazione di Colin Stewart, capo della missione di pace Minurso, riguardo alla situazione «sul campo» nei territori occupati.

L’incontro, poi rinviato su pressioni del Marocco a data da destinarsi, doveva anche prevedere un eventuale adeguamento del budget di una missione di pace che dura, ormai, da 27 anni.

Una riunione considerata comunque cruciale dal vice segretario di Stato Usa agli affari politici, David Hale, perché «servirà a decidere se continuare o interrompere definitivamente la Minurso» prorogata per altri sei mesi fino a ottobre, come deciso nella risoluzione 2414 di aprile 2018.

La diplomazia americana minaccia di interrompere il finanziamento della missione con conseguenze che, secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, «potrebbero portare al collasso del cessate il fuoco e avere un impatto pericoloso sulla sicurezza e la stabilità dell’intera regione».

Hale e l’emissario Onu per il Sahara occidentale, il tedesco Horst Köhler, hanno aumentato in quest’ultimo mese gli sforzi per ottenere un risultato concreto: la ripresa dei colloqui diretti, interrotti dal 2012, tra Marocco e Fronte Polisario entro la fine del 2018.

Washington preme soprattutto sul Marocco e del suo ministro degli esteri, Nasser Bourita, ricevuto il 17 settembre da Hale, proprio per piegare l’intransigenza di Rabat che si dichiara disponibile solo a concedere una sorta di autonomia del Sahara occidentale che non «comprometta l’integrità dei confini nazionali marocchini».

Pressioni che al momento non hanno portato a grossi risultati. Nel suo intervento all’Assemblea generale Onu, il primo ministro marocchino, Sahad Eddine El Othmani, ha ribadito che Rabat vuole avviare consultazioni solo in maniera «indiretta» ed esige la presenza dell’Algeria al tavolo dei colloqui visto che Algeri è «l’unico responsabile di un conflitto creato artificialmente nel Sahara occidentale».

«La posizione intransigente di Rabat – afferma  Mohammed Khedad, membro del Fronte Polisario e coordinatore per la Minurso in sede Onu- – vanifica gli sforzi di Köhler e dell’Unione africana per l’avvio dei colloqui per raggiungere una soluzione pacifica del conflitto sulla base delle risoluzioni Onu che confermano e prevedono un referendum di autodeterminazione per il popolo saharawi».

«Evidentemente il sostegno di Rabat alla politica anti-iraniana dell’amministrazione Trump – continua Khedad – non ha portato a un cambiamento della posizione statunitense nei confronti del dossier sul Sahara occidentale». Il riferimento è alle recenti accuse di collusione e fornitura di armi tra Hezbollah, Iran e Polisario, mai confermate da prove reali, che hanno portato alla chiusura dei rapporti diplomatici tra Rabat e Teheran.

Alle sollecitazioni di Washington nei confronti del Marocco si aggiungono anche le accuse da parte della Commissione Onu per i diritti umani di violazione della Convenzione internazionale contro la tortura da parte di Rabat. Il rapporto, redatto da 10 esperti indipendenti, espone diversi casi di prigionieri saharawi, spesso vittime di torture, e illustra la difficile situazione degli attivisti e delle associazioni saharawi, violentemente represse da Rabat perché «considerate illegali e non riconosciute giuridicamente dalle autorità marocchine».

Da parte sua Köhler, che ha incontrato a margine dell’Assemblea generale i rappresentanti di Algeria, Ua e Rasd (Repubblica Araba Democratica Saharawi), ha proposto la creazione di «un’assemblea costituente per il Sahara occidentale» e ha convocato per il 5 dicembre le due parti a Ginevra per dei colloqui diretti, con l’obiettivo di uscire dall’impasse nel processo di pace.

In una nota ufficiale pubblicata dall’agenzia algerina Aps il Fronte Polisario ha confermato la «propria disponibilità», mentre il governo di Rabat, che ufficiosamente non ha gradito «la convocazione dell’emissario Onu», non ha ancora dato una risposta ufficiale.