La vicenda della petroliera Safer è passata praticamente sotto il totale silenzio dei media italiani, malgrado il devastante impatto ecologico alle porte. La Safer, codice International Maritime Organization (IMO) 7376472 è una superpetroliera lunga 350 metri costruita nel 1976: quarantacinque anni di vita sul mare, una vera gigantesca carretta. È di proprietà dello Yemen, e dal 1988 viene utilizzata come Fso, Floating Storage and Offloading Terminal: in pratica un terminale galleggiante dove altre petroliere vanno a caricare o scaricare il greggio, poi riportato sulla terraferma tramite delle condutture subacquee.

Il problema è molto serio, in quanto attualmente la petroliera è una vera e propria bomba galleggiante ancorata a circa 60 km a nord della città di Hodeidah nello Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, sconvolto dal 2015 da una devastante guerra civile che ha visto la partecipazione di truppe straniere, in primis quelle dell’Arabia Saudita. Le forze armate saudite, che utilizzano armi occidentali e guidano una coalizione di diversi paesi arabi contro le forze dei ribelli Houthi, non sono riuscite a porre fine alla guerra, che vede dalla parte opposta la presenza iraniana dietro le quinte.

L’ARABIA SAUDITA HA INVIATO alla fine di novembre un messaggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu esortandolo ad agire per porre fine alle minacce dei ribelli che controllano la zona in cui è sita la petroliera, al fine di mettere in sicurezza la nave. Il problema è serio, e le conseguenze potrebbero essere devastanti. Si calcola che la nave abbia a bordo qualcosa come oltre 1,1 milioni di barili di greggio. Un barile di petrolio sono 158,99 litri. Fate voi i conti.

LA PETROLIERA VIENE DA ANNI utilizzata come minaccia dai ribelli, che chiedono denaro in cambio della sua messa in sicurezza. La pericolosità della situazione è stata messa in evidenza dagli esperti sauditi e da quelli dell’Onu: dopo molti anni senza interventi di manutenzione, lo scafo della nave in alcune zone è ridotto a pochi millimetri, si sono formate sacche di gas ad alto rischio esplosivo e una conduttura pare essersi staccata dal fondo del mare e galleggiare in superficie. Cosa accadrebbe in caso di esplosione, voluta o accidentalmente causata magari da un proiettile vagante? Una catastrofe umanitaria e ambientale, che colpirebbe innanzitutto le popolazioni costiere che sopravvivono grazie ai dissalatori e alla pesca, poi le popolazioni dell’interno per le quali il porto di Hodeidah è fondamentale. Un’esplosione che farebbe impallidire quella di Beirut del 2020. E chiaramente un danno ambientale incalcolabile, ai danni di un ecosistema marino eccezionale e sano, malgrado gli interventi e la presenza dell’uomo lungo le sue coste. Il greggio contenuto nella Safer risulta essere quattro volte quello della Exxon Valdez, che nel 1989 causò lungo le coste dell’Alaska il più grande disastro ambientale della storia. La nave fece finire in mare 40,9 milioni di tonnellate di petrolio; la Safer ne contiene circa 175, e stiamo parlando del Mar Rosso, uno dei paradisi marini del mondo.

A MAGGIO 2020 IMMAGINI SATELLITARI hanno riscontrato una prima perdita di petrolio, causata da una falla nella sala macchine, rattoppata in qualche modo dai subacquei della Safer. Il 02 novembre il ministro del petrolio yemenita Aws al-Oud ha messo in guardia da un potenziale disastro ambientale, una minaccia alla diversità biologica e ambientale dell’area a cui sarà difficile porre rimedio. Il ministro ombra britannico Anna McMorrin ha poi scritto: «Una rottura della petroliera e una fuoriuscita di petrolio di qualsiasi entità aggraverebbero l’emergenza umanitaria più grave del mondo in Yemen, infliggendo un duro colpo a un paese paralizzato dal conflitto, Covid- 19 e ora la carestia. Provocherebbe anche una catastrofe ambientale, distruggerebbe la biodiversità in via di estinzione, rischierebbe la salute delle popolazioni locali e fornirebbe una schiacciante battuta d’arresto economica e logistica a molti Stati fragili che dipendono dal trasporto marittimo del Mar Rosso ».

CHE LA SITUAZIONE SIA INCANDESCENTE lo conferma il lancio da parte dei ribelli Houthi di un missile contro una stazione di distribuzione di prodotti petroliferi a Gedda, producendo danni non ben quantificati. Sono poi state rinvenute nel Mar Rosso Meridionale cinque mine antinave di produzione iraniana, come riportato da fonti saudite. Secondo quanto riportato dal quotidiano al-Arabiya e dal portavoce del Segretario generale dell’Onu Stéphane Dujarric il 25 novembre, le milizie Houthi hanno acconsentito ad un esame delle condizioni della nave da parte di tecnici Onu, perché possano valutare la sua pericolosità.

Dopo i fallimenti degli anni precedenti, una spedizione è stata così organizzata da parte delle Nazioni Unite, con l’approvazione di tutte le parti in gioco, finalmente riuscite a ragionare. È stato stilato un documento con lo Scope of Work, reperibile a questo indirizzo: https://www.un.org/sg/sites/www.un.org.sg/files/atoms/files/FSO_SAFER_Condition_Assessment_and_Light_Repairs_SOW_5.11.20_ENG-Public.pdf.

A FINE DICEMBRE L’ONU era ancora alle prese con il reperimento dei fondi necessari, l’ottenimento dei permessi e del personale interessato, pronosticando l’arrivo in loco verso, sperabilmente, la metà di febbraio. Per vedere e valutare, difficilmente per intervenire. D’altronde è sempre più facile distruggere che costruire, soprattutto quando si parla di un futuro di pace e prosperità, nel rispetto dell’ambiente.