Ancora figuracce. Ancora dietro alla lavagna, in punizione per il resto del mondo. Su Arrigo Sacchi e le sue riflessioni sui troppi calciatori di colore nelle giovanili dei club italiani si è alzato un polverone. Non siamo ai livelli dell’Opti Pobà del presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio – che si esprimeva così prima della sua elezione -, poi squalificato da Uefa e Fifa ma ancora sistemato comodo sul suo scranno in federazione, nonostante il recente Lotitogate. Ma la faccenda diventa complessa. Con il calcio italiano che pare abbia proprio voglia di tenersi appiccicato addosso l’etichetta di essere razzista, intollerante, oltre che tecnicamente e strutturalmente allo sbando. E’ difficile credere che l’ex allenatore del Milan e selezionatore della Nazionale italiana abbia un pregiudizio nei confronti dei calciatori di colore. E se c’è del vero nelle parole di Sacchi, che rispetto a Tavecchio non ha incarichi pubblici, forse sarebbe il caso che l’ex ct, che tante volte ha lamentato – a ragione – la carenza di una cultura sportiva nel nostro Paese, si assumesse le responsabilità di aver detto una grossa cavolata. Un passo falso che  l’ha piazzato nel tritacarne mediatico della stampa mondiale. Da Twitter a Facebook, sino a testate di spessore come The Guardian, tutti contro l’ex ct azzurro.

E poco importa che davvero per Sacchi ci sia stata solo una caduta di stile, che con lui sono arrivati al vertice in carriera Frank Rijkaard e Ruud Gullit, olandesi dal Suriname. Come lui stesso ricordava per discolparsi. Ma lo stesso fece anche Tavecchio, che per allentare la presa nei suoi confronti esibiva l’impegno per i bambini del Terzo Mondo. Nella frenetica comunicazione che tutto consuma, anzi erode, l’autoassoluzione, la strada scelta dal tecnico romagnolo per ridimensionare il caso, è stato il peggiore degli errori. Soprattutto perché Sacchi non è Tavecchio, per cultura e qualità della persona. Ecco perché non ci sono motivi per non scusarsi, ammettere l’errore. Perché poi ci sono i fatti, i numeri. Indagine condotta da Eurosport.com: considerando le rose e i giocatori con presenze nella Primavere delle 20 squadre di Serie A, su 503 giocatori totali – una media di 25 giocatori a rosa -, ci sono 102 stranieri: 59 europei, 33 africani, sei sudamericani, due statunitensi, un indonesiano, un australiano. Il 20,3% del totale. Uno su cinque.

Dunque l’analisi di Sacchi fa centro e per questo non ha bisogno del riferimento al colore della pelle dei ragazzi. Il dato è in calo rispetto allo scorso maggio, 124 i giovani nati fuori dai confini italiani e impegnati con le formazioni Primavera dei venti club del massimo campionato del nostro Paese: il 22% del totale, sei in media per ogni squadra. Ma il numero degli stranieri nelle giovanili è comunque più alto rispetto a cinque anni fa. Ed è inutile pensare al calcio tedesco, zeppo nelle giovanili di turchi, ghanesi, tunisini, integrati in campo e soprattutto fuori: in Italia Mario Balotelli, nato a Palermo da genitori ghanesi, poi adottato da famiglia bresciana, come tanti altri ragazzi ha dovuto attendere il 18esimo compleanno per essere italiano a tutti gli effetti…