Va avanti senza svolte la guerra a Tripoli, con una sostanziale parità tra i due avversari, ambedue ancora convinti però che solo le armi possano portare ad una soluzione del conflitto.

Il premier di Tripoli Serraj – che solo tre giorni fa ha convocato l’ambasciatore italiano in Libia Buccino Grimaldi e il giorno successivo ha inviato il suo ministro dell’Interno Fathi Bashaga a Roma per un colloquio con Matteo Salvini che gli avrebbe promesso un maggiore appoggio al prossimo vertice europeo – ha chiarito ieri, se non fosse stato già sufficientemente chiaro, che non ha alcuna intenzione di fermare le operazioni militari fin tanto che le truppe del generale Haftar non si saranno ritirate sconfitte. Il rivale Haftar non è da meno, ha sempre dichiarato che non intende fermare l’offensiva lanciata sulla capitale se non dopo aver «liberato» la città dai «terroristi».

Serraj ha anche inviato una lettera di protesta all’Onu contro le parole con cui l’inviato speciale per la Libia Ghassam Salamé, nel briefing di lunedì scorso a palazzo dell’Onu di New York, ha ricordato come tra i miliziani fedeli al governo di accordo nazionale siano presenti «leader estremisti».

E forse la decisione della compagnia statale Noc ieri di interrompere la produzione del principale campo petrolifero di Sharara è da leggere come unica forma di pressione a favore del cessate il fuoco lanciato da Salamé con il concorso delle potenze straniere in gioco in Libia – Italia compresa – per la festa dell’Eid al Adha ad agosto.