Questa volta l’Istituto Svizzero ospita Sabina Meyer per una cosa che assomiglia a un récital scenico. Concepito dalla chanteuse in collaborazione con Elio Martusciello all’elettronica e Andreas Arend alla tiorba. Ninfa in lamento è il titolo complessivo della performance, Lamento della ninfa, Amor è il titolo di un madrigale di Claudio Monteverdi tratto dai Madrigali guerrieri e amorosi. Lo ascolteremo nel finale di una suite singolare fatta di tredici numeri di musica antica e di musica contemporanea. Il tutto, mentre in sala ancora ci si accomoda e si chiacchiera, è introdotto da un preludio molto ambient di Martusciello. Onde sonore dolci struggenti e frastagliate, un mare quieto e un mare mosso. ù

Come interpretare L’Eraclito amoroso di Barbara Strozzi, il primo numero? Sospiroso un po’, certo. Con eleganza. Non manca a Meyer. Da notare i suoni lunghissimi di Martusciello. Qui il problema è: si tratta di anti-filologia o di arrangiamento? Musica del ‘600 con suoni sintetici di oggi. La seconda risposta è quella buona e attenzione a non dare connotati banali alla parola arrangiamento. Meyer sposa il melodramma nello stile, e anche qui attenzione a non farsi venire in mente Rossini, Verdi o Puccini, melodramma è parola e pratica antica, la sua nascita si fa risalire alla fine del ‘500 col «manifesto» della Camerata Fiorentina. La Toccata in mi di Giovanni Girolamo Kapsberger, altro seicentista, per sola tiorba (inappuntabile e cordiale Arend), fa da invito a una improvisation-composition di Meyer. Un cantato-parlato in sussurro, musica della mente persa, dell’introspezione languida.

Meyer scivola dalla sua musica radicale alla Lettera amorosa di Monteverdi come se fosse lo stesso brano. Ecco il segreto di questo concerto a tre: la coesione in un clima di raccoglimento, niente contrasti sottolineati nonostante le differenti epoche, i differenti materiali e certe belle asprezze che vengono soprattutto dall’elettronica. Un’altra Toccata per tiorba, questa volta arpeggiata, di Kapsberger e si entra nel regno di Martusciello con una sua impro-compo che riprende l’andamento arpeggiante e lo miscela con gorgoglii deliziosi. Ed è subito Scelsi. Come innesta bene Meyer Hô I per voce sola sull’ultimo suono dell’elettronica, come è mirabile sul primo suo suono in grave, dal profondo, dall’inconscio, e poi nelle strepitose non-modulazioni, nei sillabismi di suoni spezzati e tenuti.

Meyer e Martusciello improvvisano-compongono in duo e inventano una musica scelsiana-monteverdiana. Arend ci prova con l’impro-compo ed è da dimenticare. Operistica al massimo Meyer in Lagrime mie di Barbara Strozzi, si diverte a immedesimarsi, è proprio la primadonna dolente, e poi esce magnifica a tutta voce in Che si può fare sempre di Strozzi, arricchita e resa misteriosa assai dai commenti sonori di Martusciello. Un «ponte» di contemporaneità a tre per arrivare a Ohimè ch’io cado e al conclusivo Lamento di Monteverdi. Sabina la divina. Attrice di algida sensualità.