Arriveranno sabato 16 dicembre a Roma con centinaia di pullman, le prime stime parlano di 15 mila persone, ma probabilmente saranno di più, per la manifestazione «diritti senza confini».

Partirà da piazza della Repubblica alle 14 ed è promossa da un centinaio di associazioni, sindacati e movimenti: da Usb Si Cobas e Adl Cobas alla Rete dei numeri Pari, dal centro sociale «Je so’ pazzo» ai movimenti per il diritto all’abitare, dal mondo anti-razzista (dal Baobab a Casa Madiba) agli studenti (Rete della Conoscenza). «È il corteo degli invisibili resi tali dalla legge Bossi-Fini, dalla Legge Lupi che stacca le utenze alle occupazioni abitative, dal regolamento di Dublino e dal decreto Minniti Orlando – ha detto il portavoce della manifestazione Aboubakar Soumahoro – Siamo gli esclusi che lavorano nelle campagne, nella logistica, nel lavoro domestico».

Inizialmente prevista a piazza Indipendenza – ad agosto sede di uno dei più violenti e simbolici sgomberi degli ultimi anni a Roma ai danni dei rifugiati del Corno d’Africa (da allora non è stata trovata alcuna soluzione, se non le baracche Ikea) – la conferenza stampa è stata trasferita nella sede della federazione nazionale della Stampa (Fnsi) a seguito di un divieto. Le rivendicazioni sono: il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai profughi a cui non è stata riconosciuta la protezione internazionale; la regolarizzazione di chi è senza permesso di soggiorno; la cancellazione dell’articolo 5 del piano Lupi sulla casa; l’abolizione della Bossi-Fini, della Minniti-Orlando, del trattato Dublino III e della legge sulla sicurezza urbana che ha trasformato il «decoro urbano» in uno strumento di repressione e di esclusione dei poveri. Infine c’è la proposta di un «reddito minimo» universale e quella sulle spese sociali «fuori dal patto di stabilità».

Contro il corteo è già partito il dispositivo securitario fondato delle fake news su presunti «violenti» infiltrati nel corteo, sorveglianza e controllo preventivo, già rodato in una manifestazione del 25 marzo scorso nella Capitale in occasione del sessantennale dal trattato di Roma. In quella occasione fu sperimentato il sistema del «Daspo urbano» contro manifestanti pacifici, oltre a un sistema di filtraggio che ha impedito a più di un centinaio di persone di partecipare al corteo. Tre pullman furono dirottati al centro di identificazione di Tor Cervara. Per tredici persone scattò il foglio di via.

«Sarà una manifestazione popolare – sostengono gli organizzatori – Non presteremo il fianco a nessun tipo di strumentalizzazione». Con la questura, sostengono, è stato stabilito che i bus entreranno nel centro della città. Un gruppo di avvocati seguirà i mezzi, e poi saranno presenti nel corteo. Nelle stesse ore, a Mentone sul lato del confine francese, è stato annunciato un corteo di solidarietà la manifestazione romana. Tra gli obiettivi c’è anche quello di denunciare la militarizzazione dei confini: a Ventimiglia e a Lampedusa. «La manifestazione -aggiungono i promotori – pone anche il problema della libertà di movimento, la libertà di opinione e di dissenso. Senza questa libertà non è possibile rivendicare i diritti sociali».

Il corteo restituirà una mappa di ciò che si muove in Italia sui diritti dei migranti e sulla casa. Ci saranno coloro che hanno animato la «marcia della dignità» contro il mega ghetto di Conetta, i migranti che lavorano nella filiera dell’agroindustria da Rosarno a Foggia, fino a Latina. E poi gli occupanti del porticato di piazza SS. Apostoli a Roma, sgomberati da Via Quintavalle a Roma il 10 agosto scorso e costretti a vivere in condizioni drammatiche nel centro della Capitale.

La storia degli sgomberati di piazza SS. Apostoli

“Non si nasce poveri, lo si diventa” ha raccontato Claudio, in una drammatica testimonianza durante la conferenza stampa. Da quattro mesi vive nel porticato di piazza SS. Apostoli, è uno degli sgomberati di via Quintavalle. Tutto è iniziato quando la proprietaria dell’immobile, una controllata del Monte dei Paschi di Siena, ha deciso di farla finita con l’occupazione. Prima è stata staccata la luce, una decisione che ha prodotto un’emergenza umanitaria. Nel mese successivo gli occupanti hanno respinto un tentativo di staccare l’acqua. Entrambe le decisioni rispondono ai criteri stabiliti dall’articolo 5 del piano Lupi sulla casa che, inoltre, nega l’iscrizione all’anagrafe. Infine è arrivato lo sgombero. Era il 10 agosto. Dopo una lunga resistenza sul tetto, la fine. Undici occupanti sono stati arrestati, molti altri denunciati. Per i primi ci sono stati tre giorni di fermo. E poi l’esodo. Verso il centro città. E piazza SS Apostoli, per chi conosce Roma, è una piazza a dir poco centrale. Gli sgomberati sono stati, da allora, ospitati nel portico. “Speravamo di avere più visibilità – racconta Claudio – ma siamo rimasti invisibili. Tutti quelli che non accettano gli sgomberi, perché non hanno una casa, lo diventano: invisibili”.

Da oltre quattro mesi si è formata attorno al portico una catena di solidarietà. Le altre occupazioni, le associazioni “ci hanno aiutato con le coperte, il cibo. Il parroco è stato ospitale ci ha dato una mano” continua Claudio.

Ma la situazione sta peggiorando. Nel frattempo è arrivato l’inverno. E manca tutto. A partire dai bagni. “Non abbiamo servizi igienici – sostiene Claudio – Andiamo nei bar vicini. Tranne uno, gli altri non ci fanno usare i bagni. Durante la notte diventa molto difficile questa situazione. Tutto è chiuso nel centro. E poi il gelo. Se durante il giorno ti muovo, porti i figli a scuola, vai al lavoro se ne hai uno, allora te la cavi. Ma per chi non ha tutto questo, e resta fermo, è difficile che riesca ad addormentarsi. In tenda è difficile farsi passare il gelo”.

In questo dramma, la giunta Cinque Stelle continua a esitare. La risposta sembra essere sempre la stessa: dividere i nuclei (circa 45) distinguendo le “fragilità”, con il rischio di separarli. Tra l’altro per chi non risulta “fragile” (portatore di handicap, donna in cinta, o i bambini) il destino sembra essere proprio quello di restarci, in strada. “Abbiamo rifiutato tutte queste opzioni – sostiene Claudio – Quando si parla di “fragilità” bisogna intendersi: qui ci sono molte persone che sono costrette a occupare perché non hanno un lavoro e, se ce l’hanno, non riescono nemmeno a pagarsi un affitto”.

Questa storia, raccontata nel corso della conferenza stampa, è a suo modo un caso di “integrazione”. Tra i nuclei del portico di sono famiglie di diverse nazionalità che convivono da anni insieme. Nella parte più invisibile della città, in quella zona esposta agli occhi che non vogliono vedere, si è formata una “resistenza meticcia”, così l’ha definita Claudio. Un sistema di relazioni presente in tutte le occupazioni nella Capitale, e non solo. Quelle della casa sono anche lotte anti-razziste.