Questa è una calda primavera per l’ambiente e la lotta contro i cambiamenti climatici. Il promettente preludio lo abbiamo visto in questo marzo che, dopo anni, sta portando in piazza migliaia di persone convinte che sia giunto il momento di ripensare il modello economico per salvare il pianeta e, soprattutto, chi lo abita. Venerdì 15 marzo lo sciopero globale per il clima ha spinto in piazza in 140 città italiane e in oltre mille in tutto il mondo una quantità impressionante di giovani.

SABATO 23 MARZO sarà il turno della «Marcia per il Clima» contro le grandi opere inutili e la devastazione ambientale a riempire le strade di Roma. Il secondo distinto appuntamento nel giro di una settimana è stato promosso e costruito dal multiforme e diffuso movimento per la giustizia ambientale, le comunità in prima linea sui territori contro progetti ad alto impatto. La mobilitazione è stata presentata ieri a Roma in una conferenza stampa tenuta sotto il ministero dell’ambiente. Sono intervenuti tanti dei comitati e delle realtà sociali attive contro la devastazione ambientale: tra gli altri, i No Tav e i No Pfas, il movimento campano Stop Biocidio, gli studenti per l’ambiente.

LA MANIFESTAZIONE nasce da lontano: dall’assemblea dello scorso novembre a Venaus, in Val di Susa, che ha chiamato a raccolta centinaia di attivisti da tutto il paese e ha dato voce alle lotte territoriali di tutta Italia. Da quel momento si è formato un coordinamento di comitati, gruppi e singoli accomunati dalla volontà di denunciare le politiche ambientali su clima e grandi opere e l’inazione della politica di fronte ad una emergenza ambientale che disegna i contorni di un paese sommerso dai veleni e dal cemento.

LA «MARCIA PER IL CLIMA» intende contribuire a squarciare il velo sull’emergenza ambientale che riguarda tutto il paese, da Nord a Sud. Prendere parola nel dibattito tutto politicistico in corso nel paese su trivelle, industria, gas, infrastrutture, bonifiche significa sostenere che i cambiamenti climatici sono strettamente connessi al modello estrattivista e ai tanti progetti per lo sfruttamento e la produzione di energia che avvelenano il paese, L’Italia non sta facendo la sua parte con i tiepidi impegni assunti nella lotta ai cambiamenti climatici. Per questa ragione è necessario legare la giustizia ambientale a quella sociale, leggendo la devastazione del territorio con la critiche delle disuguaglianza e alle violazioni reiterate dei diritti individuali e collettivi. Che si tratti di mega infrastrutture, siti di smaltimento di rifiuti, poli estrattivi o produttivi, in ballo ci sono sempre le stesse, questioni campali: i diritti fondamentali, la democrazia e la visione complessiva del paese, del concetto di sviluppo, del futuro. Diritti fondamentali, perché in gioco ovunque c’è il diritto alla vita, alla salute, all’ambiente salubre. Democrazia, perché dietro ogni battaglia territoriale c’è una istanza di partecipazione disattesa, una lotta di democrazia, appunto, contro la pratica diffusa di imporre dall’alto programmi e progetti. Visione complessiva, perché occuparsi davvero di ambiente significa rimettere in discussione le logiche e le finalità a cui tendono le politiche di «sviluppo».

SONO STATI INTENSI i mesi di assemblee in tutto il paese. Due sono stati gli appuntamenti nazionali (il 26 gennaio a Roma, il 3 marzo a Napoli) che hanno registrato una partecipazione crescente, mentre si è allargata la lista delle denunce e quella delle sigle aderenti all’iniziativa. Così sabato prossimo il mondo dell’attivismo ecologista scenderà di nuovo in piazza dopo molto tempo, nel solco di una giovane e nuova mobilitazione a difesa del clima. I comitati ambientalisti storici del paese saranno fianco e fianco e accenderanno i riflettori sul grande rimosso dell’agenda politica e della narrazione dei media: la necessità di immaginare e costruire un modello di economia e di società basato sulla tutela dei diritti, giustizia ambientale, partecipazione democratica, tutela delle comunità e del bene di tutti dagli interessi dei pochi.

* A Sud