Mikhail Saakashvili, già presidente della Georgia dal 2004 al 2007 e dal 2008 al 2013, ha detto di voler tornare in patria e vincere le elezioni presidenziali del 2016. Un po’ come dire che, rimessa in mare la Costa-Concordia, Francesco Schettino tornerà a comandarla. In patria, infatti, è ricercato per falsificazione di prove per la morte dell’ex primo ministro Zurab Zhvania, abuso di potere e appropriazione di 5 milioni di dollari di fondi statali: la procura di Tbilisi ha chiesto la sua estradizione a quella ucraina, prontamente negata da quest’ultima.

Con questo curriculum l’ex presidente, fuggito nel novembre 2013, con l’entrata in carica di Georgi Margvelashvili, non poteva che trovare il proprio habitat nel governo «riformatore» di Kiev, insieme ad altri ex suoi ministri georgiani: lo scorso 14 febbraio Petro Poroshenko lo ha nominato Presidente del consiglio consultivo per le riforme, campo in cui Saakashvili, fin dal tempo della «rivoluzione delle rose» che lo portò al potere la prima volta, ha dato prova di aver ben appreso le istruzioni colorate americane. Insomma, chi meglio di lui, che le ha già sperimentate in corpore vili caucasico, può suggerire le riforme che Arsenij Jatsenjuk deve attuare oggi in Ucraina?

Saakashvili, che ha definito «catastrofica» la situazione georgiana, ha curiosamente detto che il futuro del paese dipenderà da come si evolveranno le cose in Ucraina, avendo forse in mente la linea che, nel capovolgimento di Bruxelles, è definita di «pericolosa vicinanza» russa alla Nato. Per intanto, così impegnato nel coordinamento sulla fornitura di armi Nato a Kiev da non fare attenzione alle proprie dichiarazioni sui colpi nucleari americani tra Mariupol e Mosca, ha detto di non voler tentare un colpo di Stato in Georgia, essendo sicuro della vittoria elettorale.

A Tbilisi però non sono così tranquilli. Non che la Georgia – a parte le fantomatiche simpatie filo-russe di cui Saakashvili accusa l’attuale leadership – sia contraria ad aprire le porte del paese all’Alleanza atlantica: insieme alle truppe Nato rimaste a Kabul ad addestrare quelle afghane, ci sono anche 750 militari georgiani e per i prossimi mesi è prevista l’apertura in Georgia di un centro di addestramento internazionale (il primo in un paese non ancora membro dell’Alleanza); il governo inoltre non fa mistero della propria propensione di avvicinamento alla Nato e da mesi si ripetono le prese di posizione europee e americane su un prossimo ingresso della Georgia nell’Alleanza. Ma l’eventuale ritorno di Saakashvili potrebbe preludere a qualcosa di più minaccioso, non solo all’interno del paese, ma per la sua collocazione internazionale.

Seconodo quanto dicono i sondaggi, Saakashvili potrebbe contare su un 20% di simpatie: certamente di quei settori da cui provengono i militari schierati nel Donbass dalla parte di Kiev e su cui l’ex presidente potrebbe far affidamento se, come dicono alcuni, non ha affatto intenzione di attendere la scadenza delle presidenziali del 2016.

Le preoccupazioni di Tbilisi nascono anche dall’indebolimento, all’interno, della coalizione di governo «Sogno georgiano», dato da una catena di dimissioni di ministri-parenti (in primis Difesa ed Esteri) dietro cui è difficile non vedere gli incoraggiamenti che vengono da Washington, Bruxelles e Nato, in uno scenario interno di spinte e resistenze all’integrazione euroatlantica. Ma tutto ciò non facilita ancora la posizione elettorale di Saakashvili.

Lui stesso, d’altronde, pochi mesi fa – quando il suo rientro in patria si annunciava per il 2015 – aveva dichiarato che e, secondo il Ministro degli Interni Aleksandr Cikaidze, il «Movimento nazionale unito» di Saakashvili sta già cercando proseliti tra i veterani di Majdan. In pratica: a Tbilisi sembrano prepararsi a un’altra «rivoluzione colorata», questa volta di bruno, con una coalizione di governo che perde colpi e pezzi a causa sì di crisi economica e scandali miliardari, ma soprattutto per i contrasti sulle scelte di politica estera.

Al momento, secondo Ria Novosti, l’unica figura che potrebbe ostacolare il rientro (elettorale) di Saakashvili, potrebbe essere quella dell’ex premier Bidzina Ivanishvili. Purtroppo però, a parere del direttore dell’Istituto di direzione strategica di Tbilisi Petr Mamradze, né la coalizione «Sogno georgiano», né Ivanishvili si preoccupano molto – e fanno male – dell’eventualità di un colpo a là Majdan da parte di Saakashvili, forse perché giudicano con troppa sufficienza quel 20% di appoggio elettorale su cui potrebbe contare l’ex presidente.

Ma, proprio Majdan, ha dimostrato che basta anche meno del 20% per tentare il colpo e, con gli appoggi giusti, arrivare a segno.