Per ora l’edizione «menomata» a cinque cerchi è scongiurata. Ma il duello a distanza tra il Comitato olimpico internazionale che ha deciso di non vietare la partecipazione della Russia ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro e la Wada, l’agenzia mondiale antidoping che giorni fa denunciava il doping di stato russo è destinato a durare a lungo, sino almeno alla cerimonia d’inizio della competizione brasiliana, al Maracanà il 5 agosto.

Certo, il Cio ha deciso di seguire i valori della carta olimpica, non danneggiando gli atleti russi puliti che lavorano da quattro anni per un posto in Brasile. Per questo motivo non ha sospeso il comitato olimpico russo. E non c’è neppure dubbio che la soluzione soft era attesa anche dalla politica internazionale, in particolar modo da Vladimir Putin e altri ministri che attendevano lo stop alla Russia per alimentare, come avvenuto nei giorni precedenti, una sorta di spectre anti Cremlino messa in piedi dagli Stati uniti, attraverso la Wada, sostenuta nella sua azione dall’Usada, agenzia antidoping statunitense.

Ma proprio la Wada non ci sta, ieri ha contestato a mezzo stampa la scelta del Cio, si è detta «delusa» sottolineando la mancanza di tutela per gli atleti puliti, dopo aver presentato attraverso una commissione indipendente una relazione, l’ormai noto report McLaren, che avrebbe potuto far saltare il banco russo. Una denuncia del doping di stato, un sistema pervasivo in atto per sei anni, dai Giochi invernali di Vancouver 2010 sino a Rio, in mezzo l’evento clou, i Giochi olimpici invernali di Sochi, sul Mar Nero, voluti espressamente da Putin, con villaggio olimpico e strutture edificate tra le montagne.

Provette di urine manomesse, agenti segreti coinvolti come oltre 300 atleti, un Big Bang che, secondo l’agenzia mondiale antidoping, avrebbe dovuto tenere lontana la Russia dal Brasile. Invece i russi ci saranno, anzi sono già nelle loro camere, al Villaggio olimpico, con le singole federazioni sportive internazionali che valuteranno l’idoneità degli atleti ma prima dovranno venire a conoscenza dell’identità dei sospettati per doping. Così anche l’atletica russa, spazzata via dalla decisione del Tas di Losanna che ha respinto il ricorso di 68 partecipanti che avevano fatto richiesta di partecipare ai giochi nonostante lo stop della federatletica nazionale, su volere della Iaaf (federazione internazionale di atletica) sempre per lo scandalo doping, mentre nel ritiro sono state già sospesi tre atleti con provette misteriosamente sparite. La spedizione russa a Rio non potrà in ogni caso contare su atleti, di qualsiasi disciplina, che in passato siano stati sospesi per doping, anche se hanno interamente scontato la pena.

Per questo motivo non potrà partecipare ai giochi Yulia Stepanova, l’ottocentista che con le sue rivelazioni ha provocato lo scoppio dello scandalo doping per la sua positività nel 2013. Stesssa sorte per la saltatrice Darya Klishina l’unica atleta russa – vive e si allena negli Usa – che gareggerà nell’atletica.

E di sicuro – notizia di ieri in serata – Vladimir Putin non sarà presente alla cerimonia d’inaugurazione dei Giochi a Rio. La ragione – anche se non esplicitata ufficialmente – il mancato pass per il ministro dello sport Vitali Mutko, coinvolto nel report Wada sul doping. Sempre ieri Putin ha pubblicamente approvato la decisione del Cio, infilando l’ex campione olimpico di nuoto Aleksandr Popov, tra ex campioni olimpici (Aleksandr Karelin, lotta greco romana) e oligarchi come Alisher Usmanov (presidente della Federazione internazionale di scherma) e Vladimir Lisin (presidente della Federazione europea di tiro), nella commissione antidoping russa da lui voluta per un’operazione pulizia nello sport nazionale.