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Russia e Ucraina, la scrittura e la guerra

Russia e Ucraina, la scrittura e la guerra

Express Come può la letteratura non pensare a ciò che accade nel mondo?

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 aprile 2022

Come si fa in questi giorni a non pensare alla guerra? Anche se si volesse (e in effetti spesso si vorrebbe), non sarebbe possibile, con l’orrore e l’angoscia che ci piovono addosso giorno dopo giorno, con un dolore che si traduce quasi sempre in prese di posizione prive di sfumature e a volte in esternazioni che si definirebbero assurde, se non si sapesse che sono l’effetto di una tragedia la cui fine non riusciamo a vedere.

Così, per esempio, la rivista online The Conversation che si presenta come «un luogo unico di collaborazione tra accademici e giornalisti» e che ha basi in tutti i continenti, ha pubblicato un articolo, How fairy tales shape fighting spirit, «Come le fiabe modellano la nostra combattività», le cui autrici, Mia Bloom e Sophia Moskalenko della Georgia State University, sostengono che l’esercito ucraino ha saputo reggere all’attacco russo ben oltre le aspettative, anche perché nel folklore dell’Ucraina molti racconti ruotano intorno a eroi che partono da situazioni svantaggiate, mentre in quello della Russia a dominare sono gli interventi magici. Teoria a dir poco discutibile, per molte e diverse ragioni, a cominciare dalla presenza nelle fiabe popolari di tutti i paesi – Russia e Ucraina comprese – sia di incantesimi vari, di sia numerose e diversissime tipologie di eroi (principi temerari, fratelli minori disprezzati che dimostrano il loro valore, ragazzi umili e valorosi…).

Sono questioni marginali, ma rendono bene il clima in cui siamo immersi anche quando abbiamo la fortuna di vivere a migliaia di chilometri dai luoghi dove la guerra si combatte davvero. Ma tra quelli a cui l’aggressione di Putin ha cambiato sul serio l’esistenza da un giorno all’altro c’è la scrittrice russa Ludmila Ulickaja che a 79 anni ha lasciato Mosca all’inizio di marzo e si è trasferita a Berlino su pressione del figlio, preoccupato che la madre, restando nel suo paese, potesse trovarsi in una situazione pericolosa.

Autrice di numerosi romanzi e racconti, a partire dalla novella Bron’ka che, uscita nel 1995 per e/o nella raccolta Rose di Russia, la fece conoscere ai lettori italiani, da decenni analista acuta e critica della società prima sovietica e poi russa, Ulickaja ha rilasciato a Sabine Kieselbach di Deutsche Welle un’intervista in cui si mescolano grinta, rassegnazione e perfino una certa dose di curiosità. Infatti, alla giornalista che le chiede se si sta ripetendo quello che accadde in Russia un secolo fa, quando all’indomani della rivoluzione russa molti esponenti dell’élite culturale emigrarono in occidente, la scrittrice risponde che ai suoi occhi «la situazione è molto interessante», e spiega: «Nel 1922, la Berlino russa era un fenomeno culturale eccitante. Ricordo il romanzo Zoo o Lettere non d’amore di Viktor Šklovskij. Oggi, esattamente cento anni dopo, ci sono le condizioni per scrivere un testo intitolato Zoo 2. È bizzarro».

Ma la curiosità non stempera la tristezza e la preoccupazione, da un lato perché «gli intellettuali – quella che in Russia chiamiamo intelligencija – non hanno molta influenza e la voce della protesta esiste, ma quasi nessuno la sente», dall’altro per un futuro più che mai oscuro («questa guerra è un grande trauma, avvelenerà le relazioni tra i nostri due popoli per almeno le prossime due generazioni, forse più a lungo»).

E quando l’intervistatrice le chiede se le fa piacere essere considerata una sorta di ambasciatrice di un’ipotetica «altra Russia», la risposta è netta: «No, non sono affatto contenta, avrei preferito di gran lunga continuare a essere un’osservatrice, che è il modo in cui definisco il mio ruolo di scrittore. Ma la vita ha deciso diversamente per me».

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