Vladimir Putin era volato a Xiamen in Cina già domenica, dove ieri e oggi si incontrano i Brics (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, una associazione per la mutua collaborazione tra paesi «economicamente emergenti»).

Il suo programma prevedeva un incontro bilaterale con il capo di Stato cinese Xi Jinping per definire i prossimi passi della collaborazione economica tra i due paesi dopo l’avvio qualche mese fa della «One Road One Belt».

Tuttavia le crescenti tensioni nella penisola coreana hanno, in parte, modificato l’agenda dell’incontro. I due capi di Stato hanno sentito la necessità di riconfermare la loro linea comune su come uscire dall’impasse: «Il rigetto di qualsiasi ulteriore sanzione verso il regime di Pyongyang e di qualsiasi soluzione che implichi l’uso della forza». Un fronte comune che malgrado qualche accento diverso (la Russia ha condannato gli ultimi esperimenti atomici nordcoreani mentre la Cina si è limitata a parlare di «repliche sbagliate») che ha permesso finora di frenare i dottor Stranamore della Casa Bianca e tenere aperto un canale di comunicazione positivo con il Giappone sancito domenica dalla cordiale telefonata di Putin con Shinz? Abe.

IN ATTESA di conoscere le prossime mosse americane su questo fronte i Brics stanno tentando di affinare la loro alleanza e cooperazione, anche se negli ultimi due summit di passi avanti se ne sono viste pochi.
Molte aspettative create al momento della fondazione dei Brics sono andate, per ora, deluse. I «cinque» restano un gigante con i piedi d’argilla: insieme rappresentano il 42,1% della popolazione e il 22,3% del Pil mondiali ma hanno spesso interessi economici e geopolitici diversi.

«Questa struttura non è mai stata, e nel futuro prevedibile non diventerà un gruppo di integrazione come il Nafta o la UE. Sono troppo diversi questi Stati. Ad esempio, in termini di visione del mondo. La Russia e la Cina si oppongono alla riforma dell’Onu mentre India, Sudafrica e Brasile la propugnano.

MOSCA E PECHINO, in linea di principio, si oppongono al controllo americano del sistema finanziario e politico mondiale ma gli altri tre sono in linea di massima soddisfatti di questo status quo» afferma Gevorg Mirzajan, docente di politologia all’Università della Finanza a Mosca.

I Brics sarebbero invece tutti interessati a ridurre l’egemonia di dollaro ed euro negli scambi economici internazionali ma l’interscambio diretto tra molti di questi paesi tra loro è talmente modesto da non lasciare immaginare cambiamenti nella gerarchia valutaria mondiale nei prossimi anni. La stessa New Development Bank creata dai Brics nel 2016, e propagandata come alternativa più egualitaria alla Banca Mondiale, ha approvato – è vero – pacchetti di investimenti per 3 miliardi di dollari ma che sono andati a finanziare progetti comuni dei «5» e non a intervenire a sostegno di paesi strangolati dal Fondo monetario internazionale.

A RENDERE ANCORA più difficile il progetto Brics sono intervenute turbolenze di ogni tipo. Mentre la Cina ride ancora per il momento, il quadro politico del Brasile è stato sconvolto dal tracollo del Partito dei Lavoratori e con l’ascesa al potere del conservatore Michel Temer si sta ora assistendo a un rapido riallineamento con Washington mentre la sua economia dopo tre anni di recessione sta conoscendo una incerta ripresa.

Situazione simile a quella Russia che ha lasciato sul campo in due anni il 5% del Pil e continua ad avere un calo demografico inarrestabile.

In Sudafrica la «spinta propulsiva» dell’African National Congress sembra con la reggenza di Jacob Zuma, esaurita. Il paese africano, malgrado l’economia continui a crescere, ha perso negli ultimi anni 30 posizioni nell’indice di sviluppo umano e il 40% della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà.

CHI SEMBRA ancora credere al ruolo strategico dei Brics è forse la Russia. Putin prima di partire per la Cina ha scritto che i «cinque» dovranno battersi difendere il libero scambio mondiale contro ogni tentazione protezionista.

Una ulteriore significativa presa di distanza da Trump e dalla tentazione accarezzata in questi anni di sanzioni, dalla tentazione autarchica soprattutto nel settore alimentare.