Galleggia sul pelo dell’Adriatico e sul filo dell’acqua alta. Dal 1987 patrimonio mondiale Unesco, la laguna è specchio della città-cartolina e insieme approdo di interessi senza scrupoli. A fine estate Venezia archivia il tappeto rosso del cinema, scruta l’inabissamento dei mega-cassoni del Mose, osserva l’ingovernabilità di Ca’ Farsetti e lo spettro dei «cannibali» inchiodati dalla Procura della Repubblica.

È in gioco, come sempre, il futuro dei 64.676 residenti. La città-palafitta (che dall’alto sembra un pesce…) rischia di venir intrappolata nelle reti di «pirati» vecchi, nuovi e riciclati. Venezia formato Disneyland: turismo da mungere con le crociere. O piattaforma logistica del business che incrocia cemento, asfalto, petrolio e chimica. Ma anche «porto delle lobby» inossidabili, perché i veri affari si consumano in nome della salvaguardia come specchio per le allodole e dell’Expo quotidiana che va all’incasso.

Eppure, c’è chi si ostina a voler finalmente invertire la rotta. Domenica 21 settembre torna, in acqua, il Comitato No Grandi Navi-Laguna Bene Comune. Lunedì sera in sala san Leonardo l’ultima assemblea organizzativa in vista del corteo acqueo lungo il canale Contorta Sant’Angelo. È trascorso un anno dal tuffo collettivo dalle Zattere per fermare la processione di una dozzina di «città galleggianti» in Canal Grande. Anticipa Silvio Testa: «Sarà una grande manifestazione nel Canale Contorta per dire no al suo scavo. Ci andremo con le nostre barche, che è il modo migliore per fare vedere qual è la laguna che vogliamo. Per questo ho lanciato un appello: sono sicuro che è compito statutario di tutte le società di canottaggio, remiere e veliche veneziane promuovere la difesa della nostra cultura acquea e dell’ambiente che l’ha prodotta».

È la risposta al blitz del «Comitatone» che in pieno agosto ha dato via libera al progetto sponsorizzato da Paolo Costa (Pd), presidente del Porto di Venezia: con il pretesto dell’applicazione in ritardo del decreto Clini-Passera che stoppava le Grandi Navi, si spiana la laguna per 4,8 chilometri a beneficio delle mega-crociere. Ruspe al lavoro con l’obbiettivo di espandere il canale da 6 a 190 metri di larghezza e da 1,80 a 10 metri di profondità.

Ipotesi già bocciata dalla Commissione Via del ministero per l’Ambiente (presieduta dall’ingegnere Guido Monteforte Specchi) il 27 settembre 2013: dragare 8 milioni di metri cubi di fanghi comporta conseguenze tutt’altro che reversibili. Sarebbe una vera e propria «autostrada» senza nessuna seria garanzia tecnica, secondo il professor Luigi D’Alpaos che è il massimo esperto di idraulica per il bacino lagunare fin dall’alluvione 1966. Ma con l’asse sussidiario fra il ministro ciellino Maurizio Lupi, il governatore leghista Luca Zaia e i monopolisti veneti il «nuovo canale» d’improvviso è diventato panacea. Sulla carta, comporta tre anni di lavori, 157 milioni di spesa e l’interramento dell’oleodotto. Di fatto, è quanto disegnato da tempo dal «giro» dei professionisti legati al Consorzio Venezia Nuova a beneficio delle imprese di fiducia. In attesa di procedere, sempre grazie al governo Renzi, con il project financing da 2,5 miliardi del teminal portuale d’altura.

L’estate era cominciata con il terremoto dei 35 arresti dello scandalo Mose, la più Grande Opera del dopoguerra (5,5 miliardi in concessione unica al CVn) che ha prodotto la simbiosi illegale di imprese, coop, politici, tecnici e burocrati. Il vero «modello veneto» spiegato nelle 711 pagine dell’ordinanza dei pm. Nel canale giudiziario di Venezia si profila una sfilza di patteggiamenti. Hanno già scelto il rito abbreviato l’ex consigliere regionale Pd Giampietro Marchese, il responsabile del Coveco Franco Morbiolo, gli ingegneri e i tecnici del CVn, un commercialista, tre «imprenditori» di Chioggia. Processo fissato il 16 ottobre, mentre l’ex magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e Stefano Tomarelli (Condotte d’Acqua Spa) stanno ancora «trattando» pena e risarcimento.

In parallelo, si consuma il «caso umanitario» dell’ex assessore regionale Renato Chisso detenuto a Pisa. «È a rischio ischemia ed è sconvolto dopo il suicidio del vicino di cella» sintetizza l’avvocato Antonio Forza. Da qui la «campagna» per la scarcerazione supportata da Forza Italia. La Procura però insiste a cercare il «tesoretto» maturato in tre mandati di governo berlusconiano della Regione: sono in corso rogatorie e verifiche che spaziano dalla Moldavia alla Svizzera, dalla Croazia al Canada fino a Dubai e all’Indonesia.

Chisso appare meno solo di Giancarlo Galan, detenuto ad Opera. Per l’ex «doge» e ministro sussiste il rischio di reiterazione e le condizioni che il 9 agosto impedivano qualunque ammorbidimento delle condizioni detentive. Secondo Angelo Risi, presidente del Riesame di Venezia, non è possibile far scontare a Galan gli arresti nella villa sui Colli Euganei (è provento di reato) né domiciliare la pena a casa della madre o del fratello: «L’intero gruppo familiare risulta in qualche modo coinvolto in situazioni di scarsa trasparenza con Giovanni Mazzacurati». L’anziano ingegnere dominus del Mose risulta ancora negli Usa, ufficialmente per motivi di salute. Dovrebbe rientrare (il visto del passaporto è in scadenza), ma potrebbe essere ascoltato per rogatoria. È ai domiciliari nella villa di Vicenza l’ex europarlamentare forzista Lia Sartori. Ha riguadagnato la libertà dal 3 settembre Maria Piva, ex magistrato alle Acque a libro paga del CVn.

Il «sistema Mose» è davvero il paradigma delle larghe intese che in tutto il Veneto hanno espropriato la gestione di urbanistica, finanziamenti e lavori pubblici. Galan resta il bersaglio grosso: adesso arrivano anche i dettagli della compravendita con don Pierino Gelmini della tenuta di 400 ettari a Casola Valsenio sull’Appennino tosco-emiliano, mentre la Guardia di Finanza scandaglia il business del gas nelle scatole cinesi architettate nello studio commercialisti Penso & Venuti…

Intanto la Corte dei Conti ha appena spedito l’avviso di messa in mora a una quarantina di dirigenti, che devono restituire 12,6 milioni di euro. A cominciare dall’ex dg dell’Azienda ospedaliera di Padova Adriano Cestrone e da quello attuale dell’Usl 16 Urbano Brazzale sono chiamati a rispondere delle irregolarità del maxi-appalto per il centro di cottura di Serenissima Ristorazione, l’azienda vicentina che fornisce anche i pasti ai pellegrini del Vaticano.

E come a Venezia («connessa» con Chisso nell’inchiesta Mose), l’impresa edile Carron lavora a pieno regime con l’Università di Padova. Ha appena realizzato l’ampliamento dell’Orto Botanico che permette di «coltivare» il fronte Expo 2015. E già pensa al cantiere dell’appalto da 25 milioni per la rigenerazione dell’ex ospedale geriatrico come «polo umanistico» dell’Ateneo.

Nota bene:

L’articolo è stato editato nella sua forma originale a seguito di una richiesta di avvalersi del diritto all’oblio.