Anche il calcio ha il suo whistleblower, qualcuno disposto a mettere a repentaglio la sua libertà pur di diffondere informazioni in grado di mettere in crisi il sistema. Nonostante, come sempre in questi casi, i media preferiscano evidenziare le sue presunte ombre e non quanto ha finora reso pubblico. Il whistleblower del pallone si chiama Rui Pinto, portoghese di trent’anni che vive a Budapest. Ancora per poco, però. Arrestato a gennaio su richiesta delle autorità del suo Paese, un tribunale ungherese pochi giorni fa ha accettato la richiesta di estradizione, che dovrà essere ratificata in appello, nonostante Pinto abbia raccontato che se rientra in patria «rischia la vita».

GIUSTO PER rendere l’idea di cosa si muove dietro le quinte del calcio, se la quantità dei soldi che girano è nota, il tipo di persone che li manovra non ancora. Eppure «Football Leaks», sito messo su proprio da Pinto nel 2015, ha offerto più di un indizio. All’inizio con materiale che mette in luce le relazioni tra Twente (poi squalificato dalle competizioni europee per tre anni) e Doyen Sport, sussidiaria maltese del potentissimo Doyen Group, fondo di private equity brasiliano che ha movimentato la stagione delle Tpo – le proprietà dei cartellini dei giocatori in mano a terzi.

Poi il sito chiude, e consegna l’archivio e i nuovi documenti che riesce man mano a ottenere al consorzio giornalistico Eic, gestito da «Der Spiegel». Grazie alle nuove informazioni vengono così a galla i complessi meccanismi messi in atto per evadere le tasse in Spagna da Cristiano Ronaldo, Messi, Mourinho e molti altri, che poi patteggiano con il fisco spagnolo. Dallo «Spiegel» sono poi pubblicati i presunti documenti dei legali dello stesso Ronaldo, che cercano di comprare il silenzio di Kathryn Mayorga che lo accusa di stupro. Materiali che la difesa del giocatore definisce «falsi e fabbricati».

Sempre più su, fino a coinvolgere il presidente della Fifa Gianni Infantino, accusato di essere a conoscenza dei trucchi usati da Psg e Manchester City per violare il fair play finanziario, mettendo a rischio le future competizioni europee dei due club. Infantino, ex braccio destro di Platini alla Uefa, risponde che si accusa lui solo per «fermare il cambiamento».

SI ARRIVA quindi a toccare la Fifa, i procuratori più potenti e i giocatori più famosi, a svelare un livello di corruzione che vale centinaia di milioni e a puntare il dito contro due superpotenze come Qatar (Psg) ed Emirati Arabi (City), ma non succede nulla. Tutti tacciono. Anzi, i tribunali di Francia, Germania, Stati Uniti e Unione Europea aprono inchieste e procedimenti proprio basandosi su questi documenti. Nei confronti di Pinto, invece, c’è solo un procedimento aperto in Portogallo nel lontano 2015 per l’accusa di Doyen di aver tentato di ricattarli in cambio della pubblicazione dei documenti sull’affaire Twente. Una vicenda torbida.

COSA È cambiato improvvisamente negli ultimi mesi? Perché adesso su Rui Pinto pende un mandato di cattura europeo per cui rischia l’estradizione e il carcere? È successo che mentre i materiali trafugati da Pinto avevano toccato fin dal 2015 anche le big portoghesi come Sporting, Porto e Benfica, a gennaio di quest’anno diventano pubblici presunti documenti presi dai server degli avvocati del Benfica, il potentissimo e discusso studio legale PLMJ che segue le più importanti cause del paese, dalle banche alle privatizzazioni.

Apriti cielo, i giornali portoghesi, dopo avere taciuto per anni, sbattono il mostro in prima pagina: Rui Pinto diventa il nemico pubblico numero uno. Il tribunale di Lisbona, che dal 2015 non muove un dito, improvvisamente chiede l’estradizione e la ottiene, senza che ci sia un legame dimostrato tra Pinto e le presunte rivelazioni su PLMJ. Dove non sono arrivate nemmeno due superpotenze come Qatar e Emirati Arabi, ha potuto l’oscuro e complesso sistema affaristico-politico portoghese. Il calcio ha vari livelli di sporcizia, alcuni non si possono proprio toccare.