All’inizio quando il mondo era giovane c’erano molti pensieri, ma nulla di paragonabile a una verità. L’uomo costruiva da sé le verità, e ogni verità era composta da molti vaghi pensieri»: così si legge nell’introduzione a una delle più famose e importanti opere dedicate al microcosmo delle cittadine americane, I racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson, che mette in relazione verità e grottesco, affermando come gli uomini, appropriandosi della verità, finiscano spesso per deformarla nel grottesco, trasformando la realtà in visioni ridicole o mostruose. Verità e grottesco sono due termini che descrivono egregiamente l’ultimo lavoro di Daniel Woodrell, La versione della cameriera (traduzione di Guido Calza, NNE, pp. 189, e 18,00), dove il motore della narrazione si alimenta di fatti che vengono spesso occultati, sussurrati o travisati dalla polifonia di voci che l’autore fa recitare all’unisono.

I sopravvissuti
Grottesco è, infatti, soprattutto il cast che Woodrell mette in scena. Il mistero al quale il romanzo cerca di dare una risposta riguarda un’esplosione improvvisa e incomprensibile che, nel 1929, ha fatto saltare in aria la sala da ballo della cittadina di West Table, Missouri, durante una festa. Il massacro che ne consegue segna per sempre la storia della piccola comunità: i pochi sopravvissuti – ustionati, storpi e deturpati fino ad assomigliare ai freaks di un circo itinerante – restano nella memoria collettiva del luogo come tracce raccapriccianti della tragedia.

È Alma, cameriera poverissima, figlia dell’ubriacone del paese e di una donna priva di metà naso (ennesima bizzarria in un’ampia collezione di maschere deturpate), a raccontare la verità sul disastro: ormai anziana, è dotata di un’aura stregonesca per via dei capelli lunghi fino al pavimento, che ha promesso di non tagliare più e che spazzola e sistema ogni giorno – «i capelli erano lunghi come la sua storia e non avrebbe potuto camminare se non li avesse raccolti in folte trecce e fissati attorno e in cima alla testa con degli spilloni».
Personaggio straordinario, quasi un fantasma e, al tempo stesso, segno concreto degli abissi di miseria e disagio che abbonda(va)no sui monti Ozark all’epoca della Grande depressione (luogo da cui Woodrell proviene e setting preferenziale della sua opera) la vecchia torna indietro nel tempo per fare ordine tra le storie di West Table come fa con la sua bizzarra capigliatura, così da ricomporre la verità e poter continuare a vivere libera dal peso del dolore e dell’omertà.

Atto purificatorio ed escatologico, il racconto non perde tuttavia il gusto dell’indagine e il piacere dello svelamento tipici del giallo, genere sul quale l’autore americano si è formato. Sua infatti la definizione, poi variamente ripresa dalla critica e da altri scrittori, di Country Noir, utilizzata per la prima volta nel sottotitolo di Give us a Kiss, romanzo precedente e molto più vicino ai canoni classici del genere rispetto a La versione della cameriera che, pur negli indiscutibili accenti mystery, si avvicina idealmente alla polifonia etnografica della raccolta di Anderson o dell’Antologia di Spoon River, opere dedicate alla solo apparentemente sonnolenta provincia del Midwest, dove la violenza, quando non è esibita nella quotidianità indurita delle campagne, cova appena sotto la superficie, pronta a manifestarsi all’improvviso e in modi sorprendenti.

Il noir, genere eminentemente urbano, è adattato con maestria da Woodrell al contesto rurale, che viene descritto con l’ombrosità tipica del gotico statunitense, ammorbidita in alcuni punti da brevi profili delle vittime dell’esplosione – personaggi che entrano in scena solo il tempo necessario a scomparire e per i quali l’autore dimostra una malinconica, sincera affezione.

Unire gli stilemi del racconto d’investigazione a quelli del realismo sociale dell’America profonda non è un esperimento inedito: vi si sono cimentati (con esiti altalenanti) tanto Brian Panowich, quanto Chris Offutt e Tom Franklin. Un esempio davvero mirabile, al di fuori del mondo letterario ma vicinissimo alle dinamiche di racconto e ricordo messe in scena da questo romanzo, si trova nell’ultima stagione della serie televisiva True Detective, ambientata sugli stessi Ozark di Woodrell, nei confronti del quale Nic Pizzolatto (ideatore e principale sceneggiatore) ha più di un debito evidente. In quel caso la componente noir era assolutamente dominante, mentre La versione della cameriera possiede uno straordinario equilibrio nel mescolare le due anime: è tanto un hard boiled rurale che ricorda, sebbene da lontano, opere come Santuario di William Faulkner, quanto una sorta di reportage da uno dei periodi contemporaneamente più bui e sopra le righe della storia americana del Ventesimo secolo.

La controparte femminile
I ruggenti anni Venti di Woodrell, lontani dallo sfarzo elitario e dalla trasgressione di un Fitzgerald, sono fatti di polvere e ruggine, di segreti e tradimenti accompagnati da bourbon e profluvi di sangue. C’è anche posto per la femme fatale d’ordinanza, incarnata da Ruby, sorella di Alma e spirito ribelle che, nel mondo provinciale e puritano saturo di minacciosi precetti veterotestamentari, rappresenta tanto la dannazione quanto la libertà del peccato, funzionando anche come controparte della cameriera protagonista, donna inasprita dalle vessazioni dell’indigenza e del patriarcato.
L’ottima traduzione di Guido Calza riesce nel compito non facile di riportare nella nostra lingua la prosa incalzante, fitta di oscuri termini slang con i quali l’autore caratterizza le voci che vanno a comporre il mondo di West Table; una tessitura che, in osservanza alla grande tradizione popolare di storytelling dell’America più segreta e inaccessibile, si sviluppa interamente nel dominio dell’oralità: quello più consono alla tradizione, fra protrarsi del mito, inganno e mistero.