Rudolf Nureyev era molto simpatico e disponibile, nei suoi primi anni a Milano e a Roma, quando conosceva poca gente, non sapeva di chi fidarsi, non conosceva i luoghi, e non guidava l’automobile. La sua prima sera a Roma fece un sensazionale pas-de-deux dal Pirata o dalla Bayadère, con un tale successo che fu poi lui la star al pranzo offerto dalla bella e rimpianta Kiki Brandolini, in realtà per la sua amica Margot Fonteyn.

Appena arrivato in Italia, quella sera Rudy fece una gaffe: al pranzo di Kiki in piazza di Spagna, avendo capito chissà cosa, assalì Enrico d’Assia e Federico Forquet dicendo «Here you are all communists», cosa che lasciò parecchi interdetti. Ma qualche sera dopo lo rividi al Tritone, davanti al Messaggero, che faceva il matto in mezzo alla strada. Spiegandogli «questi non si fermano e ti investono, e poi non balli più», si lasciò rimorchiare fino a un club spiegandomi che Luchino l’aveva trascinato a un pranzo in via Gregoriana dove si era parlato solo di politica interna. Ma poi trovò un ballerino di Terni che lo portò a casa di un arredatore inglese; e si trovarono bene, in bagno.

A Milano lo si trovava solo, dopo le prove alla Scala, al bar di piazza Diaz, ma lontano dal poeta Ginsberg in manti di guru. E allora – «Principe delle Pagode!» (riusando il titolo di un balletto di Britten), in giro per le numerose e scomparse «pagode» milanesi, piene di succulenti incontri fra i parchi e la Fiera, e «bella roba» avventurosa per tutti. Se la pesca non era primettente, lungo certi canali, «non stiamo a battere intorno al bush!». E si finiva in tre o quattro in casa mia, sempre in mani fidate ma dove lui mostrava di conoscere gli sportelli e i cassetti e perfino i libri e le foto più discrete. Dopo un po’, sopra abat jour si posava un foulard: altri tempi, l’atmosfera era fatta.

(Ma assai più tardi, quando per la prima volta ballò spogliato, con Martha Graham a New York, e mi scappò di scrivere che era più bello da giovane, si svestì arrabbiato nell’ufficio di un’amica operistica, e le intimò di riferire che tutto lo splendore era intatto…).