«Alla richiesta di riaprire le indagini sulla morte di mio padre ho voluto associare una petizione appello alla Procura di Perugia, al ministero della Giustizia e a tutti i parlamentari italiani. E non solo perché mi sostengano in questa battaglia ma perché venga istituita una Commissione parlamentare che indaghi tutti i casi di violenza compiuti dalle forze dell’ordine: dai più noti a quelli di cui non si è mai detto nulla. Questa battaglia non è una questione personale ma un problema di tutti. E deve dare forza e sostegno alle famiglie delle vittime, alle associazioni che si battono per la verità e per rendere giustizia a chi viene colpito nel silenzio e nell’impunità».

Aveva 10 anni Rudra Bianzino quel 14 ottobre del 2007 quando suo padre, che di anni ne aveva 43, morì nel carcere di Capanne a Perugia dopo che la polizia gli aveva trovato in casa qualche pianta di marijuana. La vicenda fu un giallo sin dal suo esordio con un percorso di omissioni, inumazioni frettolose, contraddizioni patenti e una difesa a quadrato sia dell’istituzione carceraria sia della procura perugina.

Adesso Rudra di anni ne ha 24. Non ha perso l’aria da eterno ragazzino e nemmeno lo spirito allegro e positivo che aveva sin da piccolo, ma in questi dieci anni ha maturato una coscienza politica in senso lato che, dal caso di suo padre, lo ha portato a collaborare con chi si occupa dei lati oscuri del sistema giudiziario e penale.

Hanno influito le recenti rivelazioni in casi come quello di Cucchi o del G8 di Genova?

Mi hanno solo aiutato a capire che se non c’è una persona di famiglia che si muove – penso a Ilaria Cucchi o a Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi – non succede nulla. E questo è scandaloso. Penso che uno Stato di diritto dovrebbe essere il primo a farsi carico di scoprire la verità se sono coinvolte le sue stesse istituzioni. Avviene il contrario, una cosa che mi ha sempre indignato. Questa consapevolezza mi ha spinto in questi dieci anni e continuerà a farmi lavorare in questa direzione.

Chi ti ha sostenuto?

Tante persone e soprattutto due associazioni: Acad (associazione contro gli abusi in divisa) e A buon diritto. Fanno un lavoro incredibile di sostegno alle famiglie. Dopo la morte di mia madre Roberta, solo due anni dopo papà, ero solo, spaesato, non sapevo da dove cominciare… averli vicino è stato fondamentale.

Chi ha remato contro?

Lo Stato ma anche tanti medici legali e anatomopatologi a cui ci eravamo rivolti per poter richiedere di fare nuove analisi sui reperti del corpo di papà. Guardavano gli incartamenti e poi…”Non posso, un caso così mi taglia la carriera…”. Anche mia madre denunciò pubblicamente che quel che all’inizio gli aveva detto un medico legale non era poi diventato materia per il processo. Timori, opportunismo, silenzio. Poi l’avvocato Cinzia Corbelli ha incontrato il medico legale Antonio Scalzo e io ho conosciuto il professor Luigi Gaetti. Non solo due riconosciuti professionisti e due persone con la schiena dritta. e.ma