Può succedere soltanto qui, in questo posto che non ce n’è un altro così nella penisola. In questa ex Casa del Popolo spersa nella campagna più brulla, nella nebbiolina più triste. Un covo per felici estremisti sonori. Area Sismica. Troppa creatività cosmopolita si è liberata proprio qui. Forse verrà il sisma e non porterà guai. Qualcosa del tipo Rubatong. Sul palco di questo club iper-metropolitano nella più disperante provincia. Sono quattro, si riuniscono in Olanda dove vivono tre di loro. Due sono inglesi, Han Buhrs e Luc Ex, uno è nato nello Sri Lanka, René van Barneveld, una è bulgara, Tatiana Koleva. Il vocalista Buhrs usa anche l’elettronica, Ex suona la chitarra-basso acustica, van Barneveld la chitarra elettrica, Koleva le percussioni e il vibrafono.

L’anima pietrosa, urbana, desertica, sconfinata, underground del blues. Ecco che cosa si sente. La voce graffiante/limpida di Buhrs, i suoi gesti «psicotici», la sua «devianza», il suo «delirio», il suo esodo dalla norma. E la musica del gruppo gioca sull’attesa, sulle pause, sui vuoti che chiamano piacere e rivolta. Le chitarre bluesy e avant-garde, le percussioni metalliche e scroscianti, gli assoli di vibrafono che costeggiano il blues insieme alla negazione della tonalità, come faceva Thelonious Monk. Dentro il blues fino al cuore spezzato, fuori dal blues, oltre il ritmo preciso che però continua a scorrere, contro la «necessità» del blues, contro la sua disciplina, eppure dentro fino all’ultimo respiro.

Rubatong è nome composto da «tong» che in olandese significa «lingua» e da «rubato» che è quell’espediente di accorciare o allungare un suono disubbidendo al tempo, di collocarsi fuori dal tempo pur muovendosi dentro il tempo. La «lingua» dev’essere il linguaggio della forma-canzone, che loro adottano, il «rubato» di questi quattro sovversivi non assomiglia a quello di Chopin né a quello di Errol Garner. È piuttosto un modo di tirare i suoni fino allo spasimo secondo vecchie modalità del rock-blues ma aggiungendo una sapienza, una conoscenza profonda, di tutte le avanguardie, e allora il tempo scandito viene stravolto e vi si gioca come a contrasto, amandolo e aggredendolo. Insomma, la musica di Rubatong è un flirt speciale, mortale, ricco di sapere, tra il blues delle origini, il blues-rock degli anni ’60, soprattutto inglese, e ogni sfrenata sperimentazione.

Buhrs non è solo il front-man del gruppo: è autore dei testi e probabilmente quello dei quattro che ha avuto l’idea di mettersi assieme per fare questo tipo di musica. Si scomoda Captain Beefheart per spiegare il suo canto. Si può fare, ma il personaggio Buhrs è di enorme statura artistica, ha sì un’ascendenza ma ha soprattutto una genialità singolarissima. Voce potente votata a ogni stravolgimento, voce educata a rendere i brani un «prodotto finito» e molto molto evoluto. Ex è l’ultimo degli Ex ad aver mantenuto il nome d’arte, la sua chitarra-basso è in evidenza nell’arte del «rubato» avveniristico che connota il gruppo. René van Barneveld ha formazione rap e blues e dà all’insieme quel tanto di «acidità» flessuosa. Koleva è un prodigio: percussionista e vibrafonista di orchestre sinfoniche e popolari della Bulgaria, ha l’impeto della rockeuse e l’esperienza di «contemporanea» che ci vuole per fare di Rubatong quello che è: un ensemble di musica innovativa a tutto campo.

Il loro concerto è il primo della nuova stagione di Area Sismica. Da qui a dicembre saranno di scena Roccato-Nilsson, Mazurek, D’Antonio, Dorazio, Ottaviucci, Lomuto, Curran, Bosetti. E altri campioni di musica «extraordinaria», come la chiamano qui.