A pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 27 torna critica la situazione nella Repubblica Centrafricana. E oltre al deja-vù locale dello scontro su base etno-religiosa che pulsa alla base delle violenze e della lotta per il potere, stavolta si registra l’intervento diretto del Ruanda e quello non è ben chiaro quanto indiretto di Mosca.

UNA DOPPIA MANO TESA al presidente Faustin Archange Touadéra e alla missione evidentemente fallita di peacekeeping Onu, nota come Minusca, per arginare l’avanzata iniziata la scorsa settimana di vari gruppi ribelli verso la capitale, con relativa scia di violenze, scontri armati, saccheggi. E l’ennesima “Coalition”, quella dei Patrioti per il Cambiamento (Cpc), formalizzata sabato scorso dai tre principali gruppi ribelli.

I preliminari di un golpe, secondo il governo di Bangui, dietro al quale ci sarebbe l’ex presidente François Bozizé. Che nega. Di innegabile c’è che la tensione si è impennata lo scorso 3 dicembre, quando la Corte costituzionale lo ha estromesso dalla corsa elettorale, causa la scarsa «integrità morale» certificata dalle sanzioni Onu per i legami con le milizie cristiane anti-balaka e il coinvolgimento in diversi casi di torture e omicidi. Accuse rincarate da un mandato di cattura per «crimini contro l’umanità e istigazione al genocidio» emesso in patria. Strascico del decennio iniziato con il golpe militare che porta Bozizé al potere nel 2003, prosegue con due conferme elettorali tra le violenze crescenti e finisce nel 2013 con la fuga, per effetto della ribellione armata della coalizione Séléka, espressione della minoranza musulmana.

SULLA SITUAZIONE ATTUALE, figlia di un referendum costituzionale e del voto che nel 2016 ha eletto non senza frizioni Touadéra, oggi a caccia di un secondo mandato, pesa non poco il ritorno dall’esilio lo scorso anno di Bozizé, baluardo dell’etnia maggioritaria Gbaya ed ex comandante militare, che in alcuni settori dell’esercito vanta ancora un discreto seguito. Con la recente escalation ha preso corpo l’incubo di un mix tra irregolari anti-balaka e reparti ammutinati dell’esercito regolare capace di riportarlo al potere e di far saltare anni di accordi economici con le miniere di uranio e diamanti sullo sfondo. E questo spiegherebbe una reazione così rapida e “corale”. In cui è vistoso il profilo basso tenuto da Parigi, che in passato non avrebbe esitato a inviare le sue truppe nell’ex colonia.

IL RUANDA CONTRIBUISCE con circa 700 uomini a Minusco e sostiene che sono suoi i caschi blu finiti sulla linea di tiro dei ribelli a Bossembele, dove ieri le forze speciali portoghesi inquadrate in Minusco pattugliavano una calma relativa. La «forza di protezione» dispiegata sarebbe inoltre prevista da un accordo preesistente tra il governo di Kigali e quello di Bangui.

Anche con la Russia esiste qualcosa di simile, stando a quanto riferisce il portavoce del governo centrafricano Ange Maxime Kazagui all’Afp, nel confermare l’arrivo di «diverse centinaia di uomini e di armamenti pesanti» inviati da Mosca. Che non conferma né smentisce. Il pensiero corre veloce ai «wagneriani» di Yevgeniy Prigozhin, il super-imprenditore amico di Putin, il cui network di affari globali include anche l’ormai celebre compagnia di contractors attiva su diversi scenari di guerra, dalla Siria alla Libia, con lunga frequentazione anche della crisi infinita in cui versa la Repubblica centrafricana.