Lo studio che domina Cannes quest’anno non è di Hollywood, e a ben vedere non è davvero uno studio, certo non nel senso tradizionale di produttore e distributore di film con teatri di posa a Los Angeles. Amazon Studios rappresenta una potenza emergente della “Hollywood” digitale e la sua egemonia sulla Croisette conferma un transizione che promette profondi mutamenti – nei festival come nell’industria . A Cannes Amazon presenta ben cinque film, a partire dal film passato in apertura fuori concorso – Café Society di Woody Allen. Inoltre sono targati Amazon The Neon Demon di Nicolas Winding Refn, The Handmaiden di Park Chan-Wook e ben due progetti di Jim Jarmush: Paterson e il documentario su Iggy e gli Stooges Gimme Danger
L’invasione francese fa parte della strategia Amazon per sfidare Netflix come il principale servizio streaming cine-TV mondiale. Netflix è stato il primo streaming studio ad “espugnare” un grande festival con l’anteprima di Beasts of No Nation l’anno scorso a Venezia. Nati come piattaforme VOD (video on demand) i servizi streaming sono l’evoluzione del videonoleggio che hanno rapidamente annientato; ma l’azzeramento di Blockbuster e compagni è stato solo un obbiettivo intermedio. Il business model si basa sugli abbonati più che sul noleggio e per “fidelizzare” gli utenti sono necessari molti contenuti originali. È un modello di impresa assai diverso anche da quello tradizionale televisivo e ad oggi Amazon e Netflix non rendono mai noti i dati della loro utenza – quanti spettatori hanno guardato una puntata di House of Cards, metti – sostenendo che le audience dei singoli film e programmi non sono importanti quanto l’offerta che attrae gli abbonati.
La corsa si è quindi rapidamente spostata sulla produzione dei programmi originali, politica che Netflix ad esempio ritiene fondamentale per ogni paese in cui opera. La scorsa settimana, non casualmente poco prima e poco lontano da Cannes, c’è stata la presentazione in pompa magna del nuovo serial di Netflix France, Marseilles (a questa si dovrebbe aggiungere l’omologa operazione italiana Suburra). Le fiction di qualità sono state il primo passo degli streaming e Netflix ha fatto centro con House of Cards e Orange is The New Black, subito diventati cult e acclamati dalla critica.
Partito con lieve ritardo, l’ipermercato globale di Jeff Bezos non si è fatto attendere lanciando la divisione Amazon Studios e ottenendo quasi subito buoni risultati con serie come il poliziesco Bosch, basato sui racconti neo-noir di Michael Connelly e soprattutto Transparent, la fiction autobiografica creata da Jill Soloway (Six Feet Under) con Jeffrey Tambor nei panni di un padre di famiglia divorziato e settantenne che decide di assumere la propria identità di donna. La serie ha avuto un grande successo vincendo (come House of Cards) Emmy e Golden Globe – un risultato quest’ultimo conseguito anche da Mozart In The Jungle sorta di telenovela comica su trasgressioni e retroscena di un ipotetica New York symphony. Mozart (adattato dal libro semi autobiografico della oboista Blair Tindall – Mozart in the Jungle: Sex, Drugs, and Classical Music) è scritto e prodotto da due cugini del clan Coppola: Jason Schwartzman e Roman Coppola e ha confermato la formula Amazon che punta prodotti d’autore ad alta visibilità preferibilmente legati a nomi di punta. Ricetta mantenuta anche per quanto riguarda i film. Il primo lungometraggio targato Amazon Studios quest’anno è stato Chi Raq il bel musical politico di Spike Lee, ispirato a Lisistrata e ambientato nella South Side nera di Chicago.
Allo stesso tempo il mantra di Bezos è di rivoluzionare il mercato audiovisivo come ha già fatto per i libri e per le cose. Nei discorsi dei dirigenti ricorre un termine assai in voga nel gergo di Silicon Valley: disruptor, Amazon mira a scombussolare i modelli tradizionali – di commercio e di produzione – e soprattutto dispone di un fiume di denaro per farlo. Mentre colossi come Apple e Twitter hanno di recente subito una battuta d’arresto per raggiunti limiti di crescita – l”ipermercato del mondo” batte record su record a Wall street e può finanziare gli “studios” con le vendite in attivo.
E i film che produce vengono distribuiti in sala. È una fondamentale differenza che smarca Amazon dai concorrenti e in particolare dal nemico numero uno, Netflix che invece dopo l’anteprima di Venezia ha scelto di distribuire Beasts of No Nation unicamente via internet, irritando non poco i gestori delle sale. I padroni delle sale cinematografiche sono una categoria sotto assedio da TV, alta definizione, cavo, satellite e dalla costellazione di schermi superaccessibili che agevola ogni giorni di più la visione casalinga a scapito della serata al cinema. Lo streaming è visto come una minaccia mortale eppure Amazon quest’anno era presente al Cinemacon, la convention nazionale degli esercenti, con la solenne promessa di non bypassare mai la “finestra” della proiezione in sala prima della visione in streaming (gli esercenti al solito chiedono 6 mesi di esclusiva prima dei passaggi sui piccoli schermi.)
Il messaggio di Amazon è inequivocabile: contenuti originali e concorrenza, ma anche alleanza strategica con i settori più tradizionali di Hollywood – dai cinema agli autori. Nello stesso momento in cui acquisivano il film di Allen, per esempio, gli hanno commissionato anche una fiction televisiva in cui l’ottuagenario regista tornerà anche a recitare. La serie che non ha ancora un titolo sarà ambientata sullo sfondo delle proteste e della militanza degli anni 60 e sta ultimando le riprese a New York. “Mi hanno offerto un sacco di soldi e mi hanno detto fai quello che ti pare” ha detto Allen a riguardo. Spinta dalla fame di contenuti online Amazon ricopre così per alcuni filmmaker storici che non riescono a trovare finanziamenti a Hollywood, il ruolo che per un periodo hanno avuto finanziatori e TV europee che hanno prodotto film di autori come Coppola e Lynch.
“Vogliamo fornire una nuova dinamica piattaforma economica per il cinema indipendente,” afferma Roy Price, presidente della Amazon Studios dai suoi fiammanti uffici di Santa Monica. Poi aggiunge: “I film di cui si parla di più, che lasciano una traccia nello zeitgeist sono sia i kolossal come Guerre Stellari, sia le opera di autori che hanno qualcosa di importante da dire”. “Sapevamo che avremo voluto operare in uno dei due campi e abbiamo scelto quest’ultimo.” A Price, figlio e e nipote di produttori, non manca esperienza a Hollywood ma a cuore ha soprattutto lo stoccaggio degli scaffali digitali del megamercato con nuovi contenuti.
“Ad Amazon produciamo film e programmi TV al servizio di Prime Video (il bouquet di streaming premium), e per la soddisfazione dei nostri clienti.” Prosegue Price: “I cinque titoli che abbiamo portato in Croisette fanno parte di questa strategia e intendiamo farne molti di più”. Si tratta dopotutto dell’azienda che più di ogni altra ha fatto della letteratura un operazione di consumo di massa.
A differenza degli studios tradizionali e dei network TV, Amazon non ha bisogno di megasuccessi. Ogni titolo va nel catalogo in base al quale si abbonano i clienti secondo il modello di internet commerce che opera sui grandi numeri – e i grandi dati. Il fondatore, Jeff Bezos, fondatore, era un ingegnere informatico che aveva iniziato la carriera a Wall Street ed ha intuito prima ancora di Brin (Google) e Zuckerberg (Facebook) che il vero prodotto che avrebbe fatto la fortuna di Amazon non sarebbero stati i libri o altra mercanzia, ma i dati raccolti sui clienti. Una volta incamerati nei propri computer questi avrebbero permesso la commercializzazione mirata di ogni altra cosa ai lettori. Come avvenuto coi libri i consumi “culturali” dei clienti, comprese le loro preferenze cinefile, vengono automaticamente memorizzate nel “profile” di ognuno.
Per lanciare la vendita di libri Bezos assunse a suo tempo critici e redattori di prestigio per compilare recensioni e segnalazioni per i lettori sul sito. (E c’è chi segnala che anche il successo ottenuto a Cannes è coinciso con l’assunzione strategica di alcuni critici di prestigio – come l’ex Variety Scott Foundas – per curare i rapporti coi festival.) Poi col progressivo dominio del mercato Bezos si è mosso sempre più verso un modello “digitale” privilegiando le recensioni degli utenti su quelle dei critici e usando invece “algoritmi di segnalazione” per suggerire automaticamente titoli agli utenti in base ai propri profili statistici e precedenti acquisti. Ad ogni modo ha certamente monopolizzato e stravolto l’editoria.
Se la parabola della produzione cinematografica dovesse essere simile a quella dei libri, Amazon è destinata a diventare davvero un grande produttore. Gli effetti che questo in definitive produrrà sul cinema sono ancora tutti da vedere.