«Salvare la memoria» è l’ambizioso mantra con cui il Polo Museale della Lombardia, affiancato dal Comune di Mantova, l’Iscr, l’Iccrom, l’Università degli Studi di Milano, l’Università Iulm, Monuments Men Foundation, Palazzo Ducale-Mantova, Diocesi di Mantova e Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, hanno voluto intitolare una mostra inaugurata il 23 marzo e visitabile fino al 5 giugno presso il Museo Nazionale Archeologico di Mantova.

La rassegna, a cura di Elena Maria Menotti e Sandrina Bandera, le quali sono state coadiuvate da un ampio comitato scientifico – è animata dal desiderio di contrapporre alla violenza delle distruzioni la forza della restituzione.

Un approccio non scontato, che ha il merito di ricordare, oltre ai disastri che cancellano le tracce del passato, anche le azioni volte a recuperare Bellezza, Arte e Storia (così recita il sottotitolo dell’esposizione). Non è certo un caso che il difficile ma necessario percorso della rinascita venga raccontato in una città colpita nel 2012 da un devastante terremoto, che provocò, tra l’altro, il crollo del cupolino della Basilica di Santa Barbara e produsse ingenti danni alla Camera degli Sposi, scrigno pittorico di Andrea Mantegna a Palazzo Ducale.

Per restare nell’ambito della catastrofe di quattro anni or sono, il pubblico potrà assistere in real-time al restauro degli intonaci della Villa Galvagnina a Moglia. Una mostra che rifugge dunque la passività e mira invece a stimolare quell’istinto di tenace amore e rispettosa cura, senza il quale non vi è salvaguardia possibile. Alle istantanee di terremoti e alluvioni che anche recentemente hanno coperto di fango o sgretolato opere d’arte di ogni genere – dal Friuli all’Irpinia, passando per Firenze, Assisi e L’Aquila raggiungendo infine l’Iran e il Nepal – si affiancano le sbiadite e spesso dimenticate immagini della Prima e della Seconda guerra mondiale, quando a ridurre in polvere il patrimonio fu soprattutto la «follia» delle armi.

Il passo verso le guerre del presente è assai breve e un’attenzione particolare è rivolta dalle due curatrici alla Siria, con uno spazio riservato agli scavi dell’Università La Sapienza di Roma a Ebla e al progetto «Pal.m.a.i.s», la missione italo-siriana nata da un accordo tra l’Università di Milano e la Direzione generale delle Antichità e dei Musei di Damasco (Dgam). Da Palmira, che proprio in questi giorni è stata liberata dalla lugubre e fatale occupazione dell’Isis, provengono una serie di reperti prestati all’Archeologico di Mantova dai Musei Vaticani. Un itinerario alla scoperta del Vicino Oriente è inoltre offerto con un’escapade a Palazzo Te, dov’è ospitata la collezione mesopotamica Ugo Sissa.

Se lo scopo dichiarato della rassegna è arginare l’orrore che consegue alla dirompente furia della natura e degli uomini, a prevalere sono soprattutto gli esempi di imprese rocambolesche ma felici come quelle dei Monuments Men o visionarie quali lo smontaggio e il ricollocamento dei templi nubiani di Abu-Simbel in Egitto.

L’esposizione è idealmente dedicata al direttore del sito archeologico di Palmira Khaled al-As’ad, barbaramente giustiziato dai miliziani dello Stato Islamico lo scorso agosto. Assieme a lui, Mantova, rende onore a fedeli sentinelle e «semplici» eroi del patrimonio fra i quali spiccano i nomi di Fernanda Wittgens, ostinata antifascista che nel 1944 contribuì a mettere in salvo i capolavori della Pinacoteca di Brera e Fabio Maniscalco, tenente-archeologo morto ad appena 43 anni per strappare all’oblio, tra conflitti e mafie, la memoria dei popoli.