E' attesa per oggi la decisione del Parlamento brasiliano sull'impeachment alla presidente Dilma Rousseff. La discussione ha preso avvio venerdì, dopo la bocciatura della richiesta di archiviazione presentata dai difensori di Dilma. La presidente ha già perso pezzi importanti (e neoliberisti) dell'alleanza governativa: a partire dal centrista Pmdb, a cui appartengono sia il presidente della Camera, Eduardo Cunha, che l'attuale numero due di Rousseff, il vicepresidente Michel Temer, destinato a sostituirla qualora venisse sospesa dall'incarico per 180 giorni. Un'eventualità possibile se 2/3 dei deputati votano per la destituzione e il Senato la conferma a maggioranza semplice. Anche la quarta forza dell'alleanza, il Pp, ha abbandonato la presidente. Di recente, è stato diffuso per errore un audio in cui Temer declama il suo discorso da nuovo presidente. Ma Temer è anch'egli a rischio di impeachment per “delitto di responsabilità”: per aver truccato i conti del governo, nascondendo lo stato reale del deficit esistente. Le stesse accuse rivolte alla presidente, benché abbellire il bilancio prima delle elezioni sia prassi corrente in Brasile. 
Dopo Temer, il comando toccherebbe a Cunha: anima nera di tutta la macchinazione e culmine di una matrioska di affarismo e corruzione che coinvolge oltre 303 parlamentari su 513 e 49 senatori su 81 in processi per malaffare. Anche il presidente del senato, Calheiros è indagato per le tangenti di Petrobras. L'ex presidente, Fernando Collor, che ha rinunciato durante uno scandalo per corruzione sfociato su un processo di impeachment nel 1992, è indagato per aver intascato milioni di dollari per tangenti. Circa 150 tra politici e funzionari risultano implicati nella tangentopoli brasiliana (Lava Jato, relativa alla corruzione della compagnia petrolifera di stato, Petrobras). I grandi media hanno però sparato solo il coinvolgimento del Pt. Qualcuno, come l'ex poliziotto Eden Mauro - il deputato più votato nello stato di Para, nel 2014 -, è inquisito dal Tribunal Federal per torture su un bambino e suo padre. 
Cunha è un personaggio potente, accusato di riciclaggio di denaro sporco e altri reati gravi. Su un suo conto segreto in Svizzera sono stati trovati oltre 5 milioni di dollari. Ora sta cercando di farla franca, o di vendicarsi. Ma anche il presidente del Senato, Renan Calheiros, a cui toccherebbe l'incarico in terza battuta, è a sua volta inquisito...
 E intanto è battaglia di numeri e di piazza tra destra e sinistra. Perché il giudizio politico venga respinto, sono necessari 172 voti, per approvarlo 342. Ieri, il fronte pro-impeachment ha perso due punti: il vicepresidente della Camera, Waldir Maranhão ha annunciato di aver cambiato opinione e di voler votare contro, mentre la parlamentare Clarissa Garotinho ha chiesto un permesso per maternità, per cui non potrà votare domenica. 
Oltre le alchimie istituzionali, c'è però la pressione delle piazze: quelle attizzate dalle destre, che spingono per liberarsi dei governi progressisti e per riportare il paese nella morsa dei poteri forti (e che invocano anche l'intervento dei militari); e  quelle delle organizzazioni popolari che chiedono alla presidente e al suo Partito dei lavoratori (Pt) di svincolarsi dai ricatti di una coalizione-capestro e di imboccare il cammino delle riforme strutturali, in primo luogo la riforma agraria. Le sinistre d'alternativa, dall'inizio della settimana sono accampate a Brasilia per accompagnare la presidente e per rispondere all'offensiva conservatrice, che prende le forme di un “golpe suave”, un golpe istituzionale. Una manovra simile a quella attuata contro l'ex presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya e contro Fernando Lugo in Paraguay. Una strategia-format che è scattata in diversi paesi dell'America latina per incunearsi nelle crepe dei governi socialisti minandone la credibilità. In Venezuela, dopo la vittoria di Maduro con scarso margine sul suo avversario di centro-destra, Henrique Capriles, è partita una campagna internazionale per contestare la validità del sistema elettorale altamente automatizzato, certificata ogni volta da una pletora di osservatori internazionali. Una campagna durata fino a poche ore prima che si conoscessero i risultati delle ultime legislative, che hanno dato la vittoria all'opposizione. Da quel momento, c'è stato il plauso della “comunità internazionale”, il cui amore per le regole democratiche votate dai cittadini è immediatamente scomparso di fronte al disprezzo che mostrano le destre per la costituzione, dal Venezuela all'Argentina, al Brasile. 
La battaglia contro Rousseff, che ha vinto di misura il suo secondo mandato, viene così condotta in nome della lotta alla corruzione: dimenticando che, 35 su 38 esponenti della Commissione che ha votato per l'avvio all'impeachment sono indagati proprio per quel reato. In un periodo di vacche magre e di drastica caduta del prezzo del petrolio, per i poteri forti è importante recuperare il terreno perso con il welfare prodotto dai governi progressisti. Ieri, gruppi di manifestanti pro-Dilma hanno bloccato le strade. In campo, anche l'ex presidente brasiliano, Lula da Silva, a sua volta sotto attacco per aver annunciato di volersi candidare nuovamente alle elezioni del 2018.
Ieri, Rifondazione comunista, Altra Europa con Tsipras, Giuristi democratici hanno indetto un presidio di solidarietà a Roma, a Piazza Navona.