Alla fine di una giornata combattuta e controversa per il Movimento 5 Stelle, con il «capo politico» Luigi Di Maio contestato come poche volte, il 70% dei 23 mila votanti su 112 mila aventi iscritti alla piattaforma Rousseau si è espressa contro quella che nel quesito veniva eufemisticamente proposta come «pausa elettorale». Dunque, il M5S presenterà le proprie liste in Emilia-Romagna e Calabria. Una decisione che non può non essere letta come un segnale di sfiducia a Di Maio, al netto della scarsa affluenza alle urne digitali.

MAI UNA CONSULTAZIONE online è stata tanto attaccata. C’erano stati temi divisivi e passaggi chiave, come il salvacondotto a Salvini per la nave Diciotti o il referendum interno sulla scelta andare al governo col Pd, ma questa volta in tanti nel M5S hanno preso parola, fornendo indicazioni di voto e criticando la decisione dei vertici di consultare la base degli iscritti. Non è bastata l’ammissione di Di Maio, che nel mezzo delle operazioni di voto su Rousseau ha ammesso: «Siamo in difficoltà». La questione va oltre le sorti, pure non insignificanti, del governo nazionale e della desistenza nei confronti del centrosinistra. Riguardava la scelta di affidare una decisione locale a tutti gli iscritti e non solo alle regioni interessate: nelle voci dei critici tradisce le basi identitarie del M5S, secondo le quali al di là del risultato anche una piccola presenza di «cittadini onesti» nelle assemblee elettive è utile per instillare il virus dell’«onestà» e dare garanzie di trasparenza. Per molti appellarsi a Rousseau ha significato scegliere invece di trattare le elezioni in Emilia e Calabria dal punto di vista esclusivo delle esigenze tattiche nazionali, senza tenere conto dei percorsi sviluppati in un territorio specifico.

DI MAIO HA PERSO il tocco magico che gli consentiva di imboccare ogni bivio senza scegliere davvero la strada da percorrere. Il ricorso agli iscritti è stato considerato uno «scaricabarile», un modo per spuntarla in ogni caso e cadere in piedi. Se la base avesse scelto di non presentarsi, si sarebbe detto che la decisione l’hanno presa gli iscritti, senza considerare che fino a poche ore prima dell’indizione del sondaggio il «capo politico» aveva espresso proprio quella posizione. Ma il timore è che ora che il voto online si è indirizzato sulla scelta di correre alle elezioni nelle due regioni, il «capo politico» potrebbe lavarsi le mani e non intestarsi il possibile insuccesso elettorale e le conseguenze in chiave nazionale, dicendo che lui si è limitato a prendere atto della volontà degli iscritti. «Siamo di fronte a una strategia win win per chi non è in grado di gestire la situazione e non vuole assumersi responsabilità», commenta amara l’eurodeputata calabrese Laura Ferrara.

L’ALTRO ELEMENTO di dissenso colpisce al cuore il processo di riforme interne del M5S che dovrebbe cominciare dal 15 dicembre. In mattinata, il primo a comunicare il suo sgomento era stato il deputato Paolo Parentela, che ancora prima di conoscere il verdetto di Rousseau si era dimesso dal ruolo di coordinatore della campagna elettorale in Calabria contestando alla radice proprio l’assunto, esternato da Di Maio, che rinunciare a candidarsi servisse a rinnovare il M5S. «Sono due questioni diverse – spiega Parentela – Una è ristrutturare il M5S, altra è dare il nostro contributo per i prossimi cinque anni in Calabria ed Emilia». Dello stesso avviso l’europarlamentare Ignazio Corrao: «Non vedo traccia di un percorso di rigenerazione o di shock necessario a rilanciare il sogno del M5S. Per questo non riesco a comprendere l’alzare bandiera bianca nelle due regioni».

Addirittura, evento raro se non unico nella storia delle consultazioni del M5S, il capogruppo grillino al consiglio regionale dell’Emilia-Romagna Andrea Bertani ha deciso di rilasciare interviste a urne digitali aperte per sostenere la vittoria del No. Per la sua regione era intervenuto tutto il M5S, che in un comunicato aveva ribadito la «ferma volontà di presentarsi alle elezioni» invitando gli iscritti «a votare No» (per inciso, anche questa volta il quesito era formulato in maniera spiazzante, concepito in modo tale che per dare l’assenso alle candidature bisognava esprimere una negazione). Anche Danilo Toninelli, ex capogruppo ed ex ministro ormai fuori dall’inner circle di Di Maio, ha fatto professione di voto a favore della candidatura.

A URNE CHIUSE, Di Maio cerca di cavalcare il risultato. Parla senza troppa convinzione di «mandato fortissimo», annuncia che la settimana prossima verranno scelti i candidati presidenti e tira in mezzo Beppe Grillo, dicendo che col il fondatore del M5S aveva condiviso la scelta «di lasciare la decisione a tutti gli iscritti».