Le lentiggini giallo-brune che chiazzavano la pelle pallida delle gote sbiadirono all’appuntamento adolescenziale, ma restò la spellatura del naso che mutava in piaghetta appena esposti al sole impietoso della spiaggia. Refrattari all’untuosità di creme e olii, che i devoti al rituale dell’abbronzatura si spalmavano disinvoltamente, ci proteggevamo con paglie a tese larghe e con vetri scuri di occhiali. Che presto diventarono insostenibili: il ponte della montatura, che tiene unite le lenti, poggiava crudelmente sul dorso piagato del naso. E allora, bagni solitari al chiarore di luna. L’estate è liquida per noi, percezione diretta e avvolgente della massa acquosa. La spiaggia, di arenile o di scogliera, solo un tramite per l’ambiente nel quale trascorrevamo ore a mollo fra nuotate e immersioni.

La sdraio e l’ombrellone, specie se disposti in spazi fissi e organizzati che implicano stanzialità, sono la negazione della giornata libera al mare. L’idea della vacanza programmata o imposta, lontana dalla città, neanche ci sfiorava, lasciandola volentieri ai beneficiari della pelle scura e del fare comunella da spiaggia. Eppure, puntuale, il naso arrossava, se non rosolava, mentre tutto il corpo restava slavato. Oziando in piazzetta, nella frescura da pergolato di un minuscolo chiosco-bar, aspettavamo il mezzogiorno col ghiaccio nel bicchiere in compagnia di Perri, l’anziano bastardino bianco-nocciolato, steso a cuccia, del padrone. Coi compagni di dispute in acqua, che si schernivano giù in quel sudatorio che diventava la spiaggia, c’incontravamo alla rinfrescata del tardo pomeriggio. Si avvicendarono le stagioni e la pelle assunse un colorito maturo e durevole. Finché a sorpresa si delineò, provvidenziale, Mickey Rourke.

Proprio il bellimbusto dello schermo del decennio ’80, che nel districarsi dai meandri di «Angel heart – Ascensore per l’inferno» ci trasmise il rimedio cercato invano per anni. Nel film, tra il noir e l’horror, trasferitosi per seguire un’indagine da New York a New Orleans, dà vita alla scena rivelatrice in riva al mare del Golfo del Messico che valse il prezzo del biglietto: a complemento del vestito di lino grosso stazzonato, che non cambia mai, inforca occhiali scuri cui ha integrato un rudimentale correttivo, risolutivo (almeno per lui), anti-sole. Aveva utilizzato una striscia di carta da pacchi che da un capo era avvolta al ponte delle lenti e dall’altro scendeva modellata coprendo il naso.

Tornata la stagione del solleone, con occhiali acconciati in tal modo, ripresero le giornate al mare. Peccato che la ricostruzione del vissuto non è vissuto. Il copri-naso di Rourke funzionava restando immobili, magari sopra la sdraio sotto l’ombrellone che avevamo sempre rifiutato. Ma non ci siamo ricreduti! D’altronde la pelle, ormai induritasi, non spellava più dal naso.