Quasi 700 persone solo nel mese di novembre e i numeri sono in costante aumento. L’ultimo sbarco ha registrato l’arrivo di 88 migranti, tutti egiziani, tra cui 36 minori non accompagnati. La macchina dei soccorsi a Roccella Jonica, in provincia di Reggio Calabria, è sempre operativa, altri sbarchi potrebbero avvenire nelle prossime ore.
UN PORTO SICURO. Un’accoglienza dignitosa. È quello che cerca di garantire chi lavora in prima linea, al Porto delle Grazie, ai migranti che toccano per la prima volta terraferma dopo giorni trascorsi in mare aperto. Donne, uomini, moltissimi minori. Arrivano infreddoliti e affamati, alcuni feriti nel corpo e nell’anima dopo le violenze subite e la paura che può lasciarsi finalmente alle spalle soltanto chi riesce a sopravvivere alla traversata. Ad attenderli, sulla banchina, le donne e gli uomini della Croce Rossa Italiana e della Protezione Civile, oltre alle forze dell’ordine. L’arrivo di persone migranti nel paese reggino non è un fenomeno nuovo.
ROCCELLA È TERRA DI SBARCHI da circa vent’anni, ma negli ultimi mesi il numero degli arrivi è aumentato in modo esponenziale: anche quattro in un solo giorno. Attualmente non c’è una struttura ministeriale che si occupi della prima accoglienza, ma dopo l’accorato appello del sindaco Vittorio Zito al Ministero dell’Interno e alla Prefettura reggina qualcosa sembra essersi mosso con l’arrivo di una nave-quarantena al porto di Reggio e la promessa della ristrutturazione di un immobile comunale. «Lavoriamo costantemente per garantire dignità nell’accoglienza», ci spiega Concetta Gioffrè, presidente della Croce Rossa-Comitato Riviera dei Gelsomini. Senza il contributo dei volontari della Cri gli sbarchi non potrebbero avvenire in sicurezza. Al Porto di Roccella il container che li ospita è un punto di riferimento per i soccorsi. All’interno generi alimentari, indumenti, dispositivi di protezione: materiale indispensabile per la prima accoglienza ai migranti.
PERSONE PROVENIENTI prevalentemente da Iraq, Iran, Siria, Pakistan, Bangladesh. Da settembre sono aumentati gli afgani e sempre più spesso – come in uno degli ultimi sbarchi – arrivano centinaia di egiziani sui pescherecci. Ma sono tantissime le imbarcazioni a vela che negli ultimi mesi hanno solcato il Mediterraneo per giungere sulle spiagge della fascia ionica calabrese. Mezzi più costosi e sicuri, dicono, ma «a volte su una piccolissima barca a vela arrivano anche 75 persone ammassate una sull’altra», spiega Gioffrè.
DELLA NECESSITÀ DI GARANTIRE un’accoglienza dignitosa ha parlato anche il sindaco Zito, che nelle scorse settimane è stato costretto a chiudere la struttura comunale che ospitava i migranti «a causa delle abbondanti piogge che hanno determinato un peggioramento della situazione strutturale dell’immobile». Il ciclone mediterraneo che nelle scorse settimane si è abbattuto anche sulle coste reggine non ha, però, fermato il lavoro dei volontari della Croce Rossa. In soli quattro giorni hanno messo in piedi una tensostruttura in grado di ospitare circa 150 persone nelle prime fasi dell’accoglienza.
AL LORO ARRIVO I MIGRANTI vengono identificati e fotosegnalati, l’Usmaf si occupa dei tamponi e, una volta accertata la positività o la negatività al Covid, vengono divisi. Spesso l’identificazione può richiedere diversi giorni, soprattutto quando ad arrivare contemporaneamente sono – come negli ultimi sbarchi – oltre 500 persone. Tutti uomini provenienti dall’Egitto, tra loro anche molti minori non accompagnati. «Ci troviamo davanti persone che lamentano fame e sete perché trascorrono in mare aperto diversi giorni, il nostro compito è fornire loro assistenza da questo punto di vista», spiega la presidente della Croce Rossa. In prima linea anche medici e infermieri con il compito di intervenire nei casi più gravi: «Alcuni arrivano con la scabbia o altre patologie, altri hanno il Covid, ma molti ultimamente presentano il certificato dell’avvenuta vaccinazione».
NELLA MEMORIA E NEL CUORE dei volontari rimane la sofferenza delle persone che hanno assistito nel corso degli anni. «Ricordo persone che avevano i segni della detenzione libica. Due giovani sono arrivati con segni terribili di torture alle gambe e ai piedi», ci racconta Gioffrè. «Arrivano molte famiglie che lasciano tutto perché vogliono una vita migliore». Ma in Calabria arrivano anche tantissimi minori non accompagnati. Poco più che bambini. «Cosa ci chiedono più spesso? Se qui avranno la possibilità di studiare».