Suhret Fazlic è stato di parola. Da ieri la città di cui è sindaco, Bihac, ha interrotto i pagamenti per l’erogazione dei servizi essenziali nel vicino campo profughi di Vucjak al confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia. E quindi niente acqua, niente assistenza sanitaria, niente raccolta dei rifiuti. A Vucjak resterà solo la Croce rossa. L’organizzazione, che ha chiesto a più riprese la chiusura immediata del campo profughi, ha messo in piedi un programma di emergenza per garantire due pasti al giorno ai migranti che vivono nella tendopoli.

LA STRETTA era stata annunciata la settimana scorsa dallo stesso Fazlic. Il sindaco della città di frontiera ha minacciato anche di non rinnovare i contratti, in scadenza il prossimo 15 novembre, alle organizzazioni internazionali che hanno preso in affitto i due centri temporanei di accoglienza nel comune di Bihac. I proprietari del Miral e del Bira, le due strutture che accolgono i profughi in città, potranno estendere i contratti di affitto solo se autorizzati dal governo cantonale.

foto Dzenita Durakovic

UNA DECISIONE drastica presa in aperta polemica con le autorità federali e statali della Bosnia-Erzegovina. In particolare Fazlic ha accusato il ministro della Sicurezza Dragan Mektic di aver minimizzato la gravità della crisi e di aver fatto ricadere gli oneri della gestione dei migranti interamente sul cantone di Una-Sana, il più colpito dalla crisi dei migranti che attraversa il Paese da circa due anni.

«Avevamo suggerito di ricollocare i migranti in altri centri già due anni fa, ha dichiarato il ministro degli Interni del cantone di Una-Sana Nermin Kljajic, ma le nostre controparti del Consiglio dei ministri (del governo bosniaco, ndr) non ci hanno sostenuto. Ad oggi non siamo in grado di trovare una sistemazione migliore».

GIÀ LO SCORSO giugno c’era stato un incontro a Bruxelles con i rappresentanti della città e del cantone di Una-Sana per cercare una soluzione per i migranti, ma – a detta del sindaco – quegli impegni sono rimasti lettera morta. Da qui l’ennesima mossa disperata di Fazlic per spingere le autorità bosniache e l’Europa a farsi carico di una situazione che rischia di andare fuori controllo soprattutto con l’arrivo dell’inverno.

Da quando la crisi dei migranti ha colpito la Bosnia-Erzegovina, nell’area intorno a Bihac e Velika Kladusa si sono riversati migliaia di migranti che sperano di proseguire il cammino verso l’Europa. Con l’inizio dell’offensiva turca in Siria c’è poi il rischio fondato che il flusso dei profughi possa aumentare a un ritmo insostenibile per il Paese.

D’ALTRA PARTE i respingimenti sistematici e collettivi della polizia di frontiera croata hanno avuto l’effetto di trasformare la Bosnia nord occidentale in un immenso hotspot per migranti. Allo stato attuale, ha ricordato Fazlic, ci sarebbero almeno 6-7mila profughi nel cantone di Una-Sana, il 90% dei quali a Bihac e il 9% a Velika Kladusa.

Eppure la decisione del sindaco di interrompere i servizi nel campo di Vucjak rischia di provocare una catastrofe umanitaria, soprattutto ora che nella tendopoli sono stipati più di duemila migranti.

«Ovviamente il numero dei migranti che entra in Bosnia è aumentato. I profughi hanno difficoltà a lasciare il Paese così molti di loro restano nel Paese senza alcuna supervisione o controllo» ha spiegato il vice ministro della Sicurezza Mijo Kresic che respinge le accuse del sindaco di Bihac ed esprime preoccupazione riguardo alla situazione dei migranti a Vucjak e al rischio di una crisi umanitaria.

foto Dzenita Durakovic

LA TENDOPOLI allestita alla bell’e meglio proprio dal comune di Bihac dopo le proteste della comunità locale, era stata già in passato oggetto di critiche. Il campo profughi sorge su un’ex discarica situata nei pressi di un’area minata, senza contare che nella tendopoli manca di tutto, dall’elettricità ai servizi igienici all’acqua corrente.

LE AGENZIE delle Nazioni Unite, l’Ue e le ong che operano in Bosnia ne avevano denunciato l’inadeguatezza e la pericolosità e ora tornano a chiedere che i migranti siano ricollocati negli altri centri di accoglienza in Bosnia, quelli a Deljias, Solakovac e Usivak. In particolare Bruxelles si è offerta di finanziare un altro centro di accoglienza in cambio di un immediato trasferimento dei migranti. Quel che sembra stare a cuore dell’Europa però è tenere i migranti il più lontano possibile dalle sue frontiere esterne, più che le condizioni in cui versano i profughi o le difficoltà oggettive di un Paese come la Bosnia già profondamente destabilizzato al proprio interno. Val la pena di ricordare che a un anno dalle elezioni Sarajevo è ancora senza governo. Difficile con queste premesse che la Bosnia-Erzegovina possa in effetti far fronte a una crisi di questa dimensione. Una crisi senza fine che l’Europa ha dimostrato di non sapere o volere affrontare.