«Il mio No al referendum non è assolutamente contro il governo, anzi ritengo che in questo anno il Conte bis non abbia dato cattiva prova di sé, ha gestito dignitosamente l’emergenza Covid». Rosy Bindi, ex ministro, tra i fondatori del Pd, da alcuni anni è sparita dai radar della politica, ma ha conservato intatte la passione e la grinta.

Ritiene che una vittoria del No potrebbe aprire una crisi?
«Assolutamente no. Io difendo il Parlamento e, secondo la Costituzione, i governi nascono e muoiono in Parlamento, non per i referendum».

Un crollo alle regionali che conseguenze avrebbe?
«Io credo nessuna. I governi e i premier non sono mica eletti direttamente dal popolo. Lo stesso vale per il segretario del Pd: lo si sceglie con un congresso, e il Pd l’ha fatto nel 2019. E poi non credo che alla fine le regionale andranno così male. E se davvero andassero male, si riflette su cosa non ha funzionato: nei partiti seri non si danno giudizi sommari. La mia preoccupazione maggiore è che, in caso di risultato decente, i vertici Pd inizino a gridare al trionfo, come è successo a gennaio in Emilia Romagna. Bonaccini è stato descritto come un eroe per aver vinto in Emilia, non in Lombardia! Ma ci rendiamo conto di dove siamo arrivati?».

Ora trema la sua Toscana.
«Credo che alla fine il centrosinistra vincerà perché c’è in queste ore una forte chiamata alle armi contro la destra, ma nessuno si azzardi a cantare vittoria. Se siamo stati settimane col fiato sospeso vuol dire che le cose non hanno funzionato: a partire dal candidato Giani. La coalizione è stata troppo condizionata da Renzi, e poi la riforma sanitaria di Enrico Rossi, che ha diviso la Toscana in tre macroaree, non va, ha danneggiato il rapporto tra ospedali e medicina del territorio».

Dunque il governo è al sicuro?
«Serve un salto di qualità, non si esce dall’emergenza senza un disegno che fatico a vedere, sono troppi gli aspetti su cui Pd e M5S non trovano un incontro: si annaspa, ci sono continui dispetti. Penso al Mes, 40 miliardi per la sanità che servirebbero come l’aria. Ai decreti sicurezza di Salvini che sono ancora là. Ma un’alleanza che non preveda un’intesa di fondo sulle grandi questioni non va lontano».

Torniamo al referendum. Lei, Prodi, Veltroni, Parisi. Quasi tutti i fondatori del Pd votano No. Eppure nei programmi dell’Ulivo e poi del Pd c’è sempre stata la riduzione dei parlamentari.
«Non c’è mai stata alcuna proposta di taglio lineare senza una riforma del bicameralismo. Mai. Questo taglio è rozzo, è solo il sigillo della propaganda contro la “casta”, che è stata fatta coincidere col Parlamento. Il Sì è un cedimento a una cultura iconoclasta contro le istituzioni, la cultura di chi vagheggia la democrazia diretta».

Per essere una sostenitrice del governo è molto dura contro il M5S…
«Il rapporto tra loro e il Pd va chiarito, per ora è solo uno stato di necessità. Come ho detto, è un rapporto che deve evolvere. Ma mi chiedo se i 5 stelle avranno davvero voglia di farlo».

Perché un Parlamento di 600 dovrebbe funzionare peggio?
«Bisogna considerare che almeno un centinaio di eletti siede anche al governo. E poi ci sono le assenze fisiologiche. Dunque il processo legislativo – che avviene in gran parte nelle commissioni- sarebbe nelle mani di un numero esiguo di persone. Un Parlamento oligarchico, classista, composto ancor più dai più fedeli ai leader, penalizzando le donne, i candidati con meno soldi, i giovani, i territori meno popolati».

Lei sostiene che, con una riforma del bicameralismo paritario, il taglio sarebbe stato più accettabile. Ma quella riforma, varata da Berlusconi e poi da Renzi, è stata bocciata dagli italiani nei referendum del 2006 e del 2016.
«Nel 2005 fu varata dal centrodestra una riforma che stravolgeva la Costituzione, e gli italiani l’hanno giustamente bocciata. Nel 2016 Renzi ha messo in gioco la vita del suo governo e gli elettori hanno bocciato lui. Non si deve mai fare questa confusione, e infatti il Pd ha sbagliato quando nel 2019 ha fatto entrare il taglio dei parlamentari nell’accordo di governo».

Ritiene possibili le altre riforme costituzionali di cui parla Zingaretti?
«Ma se non riescono a fare neppure la legge elettorale! Sarà grasso che cola se a fine legislatura saranno riusciti a correggere almeno quella».