Presidente Enrico Rossi, ogni giorno per voi ha la sua pena: ogni giorno Renzi rivolge un invito alla coalizione per Pisapia e un veto contro voi ex Pd. L’ultimo: «Disponibilissimo a dialogare con Pisapia e Boldrini».

Renzi ci prende in giro. Da un lato apre a Pisapia, dall’altro non esclude le larghe intese con Berlusconi. Cosa che Pisapia esclude. Renzi è ambiguo, ambivalente. Non propone nessun cambio di rotta. Ma teme di perdere consensi a sinistra e confonde le acque.

Lei invece esclude le primarie con il Pd.

Se avessi voluto fare le primarie con Renzi non sarei uscito dal Pd, ero anche candidato. C’è una sola strada lineare per noi: c’è un grande spazio a sinistra del Pd per una forza democratica che pone al centro la questione sociale e una trasformazione profonda. Il voto delle comunali lo conferma: il M5S non se la passa bene, il centrosinistra è anemico, il Pd è in calo, l’affluenza pure. Come non porsi il problema di costruire una forza al sinistra del Pd che raccolga la sinistra che c’è e gli uomini e le donne che non si riconoscono nel progetto renziano? Usciamo dalle diatribe del ceto politico. Bisogna individuare sette punti programmatici, portarli alla discussione nel paese, poi selezionare in modo democratico i candidati.

Insomma lei propone primarie e parlamentarie, ma della sinistra?

È l’unico modo. Altrimenti chi potrebbe decidere se è civico o politico, se è vecchio o nuovo? Così supereremo contrapposizioni e veti. Anche su questo alla fine Pisapia dovrà pronunciarsi. I nostri avversari sono la demagogia del M5S, la destra, e le politiche neoreganiane di Renzi.

L’ex premier Prodi guarda con interesse Pisapia e il vostro percorso. Il professore sarà nel vostro pantheon?

Un suo autorevole pronunciamento sarebbe senz’altro un bene. Ma dobbiamo discutere anche di contenuti. Le politiche di tutta la fase del centrosinistra vanno cambiate, devono essere più nette sullo stato sociale e i diritti del lavoro. E serve una riflessione sulle liberalizzazioni.

Ma le lenzuolate di Bersani sono un simbolo di quella stagione. E la sinistra di allora non apprezzò.

In alcuni casi ci sono state privatizzazioni che hanno lasciato il paese nelle mani di pochi. Oggi dobbiamo prendere spunto dal programma di Corbyn. Per esempio: scuola e sanità devono essere ancora più pubbliche.

Eppure la sua riforma della sanità, in regione Toscana, è molto criticata a sinistra. E Sinistra italiana, a cui lei propone un’alleanza nazionale, non è nella sua maggioranza. Perché?

Chieda a loro. All’epoca ci fu un dissenso sulle infrastrutture. Quanto alla sanità, nella mia regione è sempre più pubblica. Il problema è che mancano le risorse.

Per fare primarie insieme dovrete comunque condividere un programma di massima. L’invito vale anche per il Prc?

Il primo luglio (all’assemblea ’Nessuno escluso’, a piazza Santi Apostoli, la storica piazza dell’Ulivo, ndr) presenteremo una piattaforma aperta con sette punti programmatici: investimenti, piani per il lavoro, rilancio dello stato sociale, patrimoniale, superamento di bonus e mance, lotta all’evasione e ai privilegi. E recupero dei diritti del lavoro: che non sarà un evento, sarà un’opera progressiva. Ma bisogna cominciarla.

Cancellerebbe il jobs act?

Quella legge ha una parte che non è stata finanziata, quella delle politiche attive. Per il resto ha prodotto nuova precarizzazione: se almeno il contratto a tutele crescenti avesse sostituito le 44 forme di contratti di precariato com’era stato promesso. Oggi, finiti i soldi finito l’amore, le assunzioni sono ferme. E la cancellazione dell’art.18 è scandaloso sul versante dei licenziamenti senza giusta causa: se un giudice mi dà ragione perché non devo essere reingrato? La Cgil ha presentato una Carta dei diritti. Ripartiamo da lì. Saremo al corteo del 17 giugno contro la reintroduzione dei voucher. Serve un cambio profondo: in Italia siamo parte di un travaglio per il fallimento storico delle politiche blairiane e della Terza via, come giustamente dice Giuliano Amato.

Il vostro riferimento europeo resta il Pse?

Non può che essere così, ma guardo con interesse a Mélenchon in Francia, alla Linke in Germania. E a Tsipras in Grecia, un europeista schiacciato da vincoli insostenibili. Ma anche a Sanchez in Spagna che combatte le larghe intese da dentro il partito socialista.

Il 18 giugno andrà all’assemblea dei ’civici’ lanciata da Falcone e Montanari?

Certo. Ma civici e politici siamo tutti. Nessuno ha la verità in tasca e nessuno può porre veti. Li invito a misurarsi con quello che proponiamo. La condizione perché l’elettorato si mobiliti è non costruire tre o quattro liste, ma una. Certo, non un’ammucchiata arcobaleno né una ridotta. Il processo democratico risolverà questo problema.

Ma i civici, nel loro appello, si rivolgono al «popolo del No». Lei però, come Pisapia, al referendum del 4 dicembre ha votato sì.

Faccio parte di una componente che vuole costruire questa forza anche se ha votato sì. Se guardiamo il passato di ciascuno non andiamo da nessuna parte. Nessuno può cancellare le nostre storie. Quando la sinistra ha cercato la purezza non è andata lontano. O erano i tempo dello stalinismo o quelli della mera testimonianza.

Lo sbarramento al 5 per cento vi obbligava all’unità. Ora che è sceso al 3, non è che rischiate di non avere più bisogno di stare uniti?

Unirsi per un vincolo esterno, per qualche posto da parlamentare, sarebbe una scelta meschina. Le nostre ragioni per l’unità sono molto più profonde, stanno nella sofferenza dei ceti medi e popolari. Se la nostra gente annusasse odore di meschinità fra noi, non avremmo alcuna possibilità.