Quando, dove? Decenni di condivisone ideale e culturale,  un po’ meno politica, alle volte, mi rendono meno facile sottolineare incontri diretti e convergenze/divergenze con Rossanda, troppo “irraggiungibile” quando l’ho conosciuta e poi seguita appassionatamente solo da lontano. Prima volta ultimi anni della sua direzione della Casa della Cultura a Milano che, insieme ad altri compagni ormai altrove, (Edgardo Bonalumi, Lucio De Carlini ecc.) frequentavo.

Frammenti di ricordi, io ero reduce dalla chiusura improvvisa di Stasera, impareggiabile ed unico quotidiano del pomeriggio di sinistra, con Melloni, Segre, Morandini, Dell’Acqua e altri e stavo per iniziare la lunga avventura della fondazione e poi direzione del Centro di Documentazione Franz Fanon con Giovanni Pirelli, (Pischel, Morganti, Leon, Spazzali, Forte, Crugnola ecc.e tanti altri), nella sede di via Quadronno, stessi locali dell’Istituto Gramsci allora diretto da Notarianni e ricordo alcuni boatos e diktat di e su Rossanda.

Voleva separarsi dal marito Banfi ma non c’era il divorzio, quindi battaglia campale con la Sacra Rota per l’annullamento del matrimonio secondo una delle poche modalità previste, ovvero quella del matrimonio rato e non consumato…che per noi giovinetti era allo stesso tempo una giusta battaglia laica e civile, ma anche la dimostrazione della sua tempra di lottatrice  per riaffermare  la propria libertà individuale ma in fondo anche una divertente storiella smart, viste le effusioni tra i due.

E che dire della dura requisitoria (importante per le scelte professionali mie e di altri due, credo) contro l’iscrizione all’Ordine del giornalisti in quanto setta ad escludendum e gruppo di potere e altro, molto poco ascoltata se non da alcuni forse ingenui apprendisti…ma comunque coraggiosa e forse premonitrice contro ordini e istituzioni verticistiche.

Ma poi, l’opacità sulla guerra d’Algeria, che ho sempre pensato più subita, viste all’epoca le posizioni dell’URSS, che frutto delle sue convinzioni, ma ci tornerò.

Io ero anche uno dei responsabili italiani del Reseau Janson che si occupava di aiutare i renitenti francesi alla leva militare che li avrebbe costretti a combattere in Algeria, e cercavano appoggio e rifugio in Italia, Piemonte e Lombardia soprattutto, fenomeno che dieci anni dopo si sarebbe replicato con logistiche e aiuti diversi con la guerra del Vietnam, e inoltre Giovanni era un fervente sostenitore ideale, politico e pratico della lotta di liberazione algerina, quindi eravamo perplessi su silenzi non comprensibili.

Allo stesso tempo ricordo un biglietto manoscritto da Rossanda e inviatomi, tramite Giovanni stesso che la conosceva abbastanza bene (entrambe partigiani), per chiedermi una qualche sorta di intervento per un giovane antillano, (al tempo le antille francesi erano colonie e non Territori d’Oltremare come adesso).. L’ho tenuto per anni nella mia agenda poi l’ho smarrito e non ricordo esattamente di cosa si trattasse, ma comunque era un segno della sua solidaristica visione internazionale, forse anticipatoria del suo affetto per la Francia, non saprei.

Vado di corsa, avevamo fondato il Centro di Documentazione Franz Fanon nel 1962 per svariati motivi, forse anche un briciolo di revanscismo familiare nei confronti dell’ISPI da parte di Giovanni, ma di fatto esclusivamente come strumento per informare, documentare, creare contatti per tutta la sinistra italiana nei rapporti con le lotte di liberazione e per l’indipendenza, in ogni caso per far conoscere al realtà dei paesi di Africa, America Latina e Asia, ben poco frequentati allora da partiti, sindacati e associazioni che pur si ispiravano a un convinto internazionalismo.

Brutta sorpresa quindi leggere un bel giorno su Rinascita un ponderoso articolo di Rossanda contro il terzomondismo, considerato una deviazione della lotta di classe tra detentori dei mezzi di produzione e classe operaia sfruttata e alienata (semplifico).

Con tutta la stima e l’affetto per lei, era una critica assolutamente rigida e forse anche miope.

Come tutte le persone, le migliori in ogni caso, il tempo e la realtà e il lavoro collettivo contribuiscono a far cambiare idee e punti di vista, valori e pratiche, strumenti e obiettivi.

Per questo, oltre a mantenere la sua indiscutibile fascinazione intellettuale e culturale, con l’uscita del Manifesto e successivamente, lei e il giornale capirono che il cosiddetto Terzo Mondo meritava ogni possibile attenzione, riflessione e anche intervento e in molti casi poteva essere un modello di affermazione popolare da studiare e capire.

Potrei scriver molto su queste tematiche, ma limitandomi a Rossanda, l’ultima considerazione che ancora oggi rimane di altissimo valore teorico/pratico, per me è scaturita da un incontro a Roma nella sede del giornale, io reduce da uno dei tanti viaggi in Africa per consolidare gli obiettivi del Fanon e per stringere contatti e dimostrare solidarietà concreta alle realtà locali.

Mi fece un’unica domanda:”Secondo te in Africa è più negativo, greve e pesante il giogo del nuovo colonialismo Usa o quello dei nuovi zar dell’Urss, per l’autonomia e lo sviluppo di popoli e nazioni?”

Risposta e dialogo molto stimolanti e non semplici e univoci, discussione ancora aperta, che quando rientrai a Milano portai avanti in sede di Centro e con Gian Paolo Calchi Novati, ma che porterebbe via molto spazio a questo ricordo di una persona così importante nella vita di molti di noi, quasi sempre come riferimento illuminante, positivo e stimolante per andare avanti in questo mondo così diseguale e brutale, rare volte con smagliature che tutti noi abbiamo.

Del resto, credere no, sperare sì.