L’illegittimità è un vizio congenito. Estirparlo, dissolverlo, si dimostra impossibile. E impossibile appare anche limitarne gli effetti. La lettura del Rosatellum-bis lo conferma. La composizione attuale del parlamento, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 1 del 2014 e non sostituita, col dovuto scioglimento, da eletti col sistema elettorale risultante dalla stessa pronunzia della Corte, non sa infatti produrre che atti o proposte di atti illegittimi, appena attingano alla rilevanza costituzionale. Come dimostra la deformazione della Costituzione respinta dal corpo elettorale il 4 dicembre e l’Italicum, sanzionato dalla Corte costituzionale. Due constatazioni, queste, il cui significato e il cui valore sono del tutto assenti dal dibattito in corso alla Camera sulla legge elettorale che è interessato a tutt’altro che alla ricerca di un sistema rigorosamente coerente con la Costituzione.

Se lo fosse, infatti, il Rosatellum-bis non sarebbe stato presentato. Non lo sarebbe stato per l’eclatante, immediata, grossolana, irrimediabile violazione del principio fondante e qualificante il tipo di manifestazione indefettibile della volontà popolare, il voto. Voto che il Rosatellum schiaccia e distorce. Lo schiaccia amputandone la gamma delle potenzialità, quelle di scegliere il candidato o i candidati alla propria rappresentanza. Perché scelta che risulterà già operata nella lista da chi ha presentato la lista.
Chiarisco. L’articolo 48 della Costituzione fissa i caratteri del voto stabilendo che deve essere «personale ed eguale, libero e segreto». Lo personalizza quindi sia nell’elettore all’atto dell’esercizio del suo diritto di voto sia nel candidato per cui l’elettore vota, votandolo per chi è, oltre che per con chi si candida. Non lo personalizza certo in chi ha presentato o ha dettato la lista e nell’ordine con cui ha collocato i candidati della lista. Definendolo uguale, gli attribuisce la stessa efficacia di ognuno dei voti espressi nell’elezione che si svolge. Lo equipara quindi anche al voto di chi ha composto la lista. Qualificandolo come libero, ha voluto sottrarlo ad ogni coazione, compresa quella dell’ordine di lista. Stabilendone la segretezza ha voluto assicurare la massima garanzia ai caratteri che lo identificano.
Non poteva essere più rigorosa la configurazione del diritto di voto nella Costituzione. È la verità della democrazia che il voto deve rivelare, la credibilità di quel principio e di quella pratica che si denomina sovranità popolare. Il che significa che ogni compressione, ogni restrizione, ogni deviazione del diritto di voto coinvolge la forma di stato, incide sulla qualità della democrazia, incrina la Repubblica.

Il Rosatellum lo fa. E con conseguenze devastanti del sistema politico, quella di trasformare la figura di membro del parlamento, coinvolgendo immediatamente la stessa configurazione dell’istituzione di cui farà parte, e così il carattere e l’essenza della Repubblica parlamentare. Devastante perché preclude una credibile rappresentanza della base popolare della Repubblica che solo la proporzionale potrebbe assicurare all’attuale sistema politico italiano. Il Rosatellum è invece esattamente funzionale all’investitura dei «capi delle forze politiche che si candidano a governare», l’eversiva formula contenuta nel testo unico delle norme sulle elezioni al parlamento come modificato dal Porcellum. Formula che elude, esclude la funzione rappresentativa dell’elezione in parlamento per sostituirla con l’investitura di un «capo» di «forza politica» (si badi) non forza parlamentare. Formula che avrebbe imposto il rinvio di quella legge al parlamento per «manifesta incostituzionalità», rinvio sciaguratamente omesso dal presidente della Repubblica Ciampi.
Invece di sanare l’incostituzionalità manifesta, il Rosatellum la aggrava. Si guarda bene dal sopprimere l’istituzione dei «capi», prevede i collegi uninominali, li collega alle liste, e le blocca. Chi è eletto in parlamento da lista bloccata, come già l’eletto nel collegio uninominale, dovrà la sua elezione a chi ha compilato la lista collocandolo in modo da assicurargli il seggio che rientra tra quelli che la lista prevedibilmente otterrà. Rappresenterà così chi lo ha collocato nel posto corrispondente a quello che sarà prevedibilmente acquisito alla lista, in parlamento rappresenterà quindi il «capo» della forza politica. Non gli elettori.
Torna per altra via a riproporsi il progetto dell’uomo solo al comando, quello del capo della forza politica che prevarrà nelle elezioni. Lo avevamo sconfitto il 4 dicembre scorso. Far rispettare quella decisione del corpo elettorale è quindi obbligo costituzionale.