Pochi emendamenti, meno di un centinaio a firma dei partiti che sostengono il tentativo di riforma della legge elettorale battezzato «Rosatellum-bis» (Pd, Forza Italia, Ap, Lega), appena il doppio da parte dei partiti contrari (5 Stelle, Mdp, Sinistra italiana, Fratelli d’Italia gruppo misto). In totale 321 proposte di modifica al testo depositato dal Pd Fiano, in votazione alla camera da martedì prossimo. Una settimana di lavoro e poi il testo è atteso in aula martedì 10 ottobre. La strada della legge elettorale sembra spianarsi, ma solo in commissione affari costituzionali dove era già piatta; il sodalizio dei favorevoli può contare infatti su una maggioranza inattaccabile: due voti su tre. Un emendamento, firmato dalla stesso relatore, sarà sicuramente accolto perché chiarisce quello che sembrava un controsenso: le liste che superano la soglia di sbarramento del 3% conquisteranno seggi anche qualora si presentassero in un’alleanza che non raggiunge il limite per le coalizioni, fissato al 10%. I problemi, però, arriveranno in aula.

La lista degli emendamenti presentati ieri è utile per orientarsi nella battaglia vera, quella che sarà combattuta anche con il voto segreto. Passati di moda gli eccessi ostruzionistici – anche se in teoria la valanga di emendamenti è riproponibile in aula, dove non si potranno contingentare i tempi – è il momento della strategia. Sia i 5 Stelle che Articolo 1-Mdp che Sinistra italiana (questi ultimi due anche insieme) hanno presentato emendamenti capaci di incidere nelle divisioni del fronte pro Rosatellum. Anche un emendamento della minoranza del Pd – la corrente di Orlando – ha questo potenziale, laddove propone con buonsenso di abolire il sistema in base al quale il voto dato al solo candidato dell’uninominale avvantaggia comunque i partiti maggiori (la settimana scorsa lo avevamo paragonato all’8 per mille che premia la Chiesa più grande). È un sistema che rischia di rendere «incapienti» i listini, che introduce le frazioni di voto complicando terribilmente lo spoglio, ma al quale Pd e Forza Italia rinuncerebbero mal volentieri.

Mdp propone il ritorno al sistema tedesco (affossato a giugno dall’approvazione di un emendamento sul Trentino con il voto anche di Mdp) con una soglia di sbarramento al 4% o al 5%. La stessa proposta fanno i 5 Stelle e si tratta di due offerte ai deputati berlusconiani che con il nuovo sistema, che regala la golden share alla Lega, hanno tutto da perdere. Ma approvare questi emendamenti, o quello che vuole il recupero del Mattarellum originale del 1993, sarebbe un brusco cambio di rotta. Più facile che l’incidente capiti nel voto su proposte limitate. Come l’abolizione delle pluricandidature (ci tiene Alfano), l’introduzione del voto disgiunto e soprattutto il ritorno alle preferenze, argomento assai popolare dopo anni di retorica sui «nominati». Anche se le liste bloccate di quattro nomi del Rosatellum sono identiche a quelle del Mattarellum, è principalmente questo il vizio di «palese incostituzionalità» che vede per esempio D’Alema. Mdp ha molto altro da recriminare, essendo l’unica forza politica in parlamento che dovrà raccogliere le firme; un emendamento chiede parità di trattamento.

Per tentare di far scattare la trappola nel voto segreto, i grillini mettono da parte le convinzioni isolazioniste, chiedendo che sia più forte la riconoscibilità delle coalizioni sulla scheda, con un programma e un capo comune: evidente il tentativo di agganciare i supporter delle coalizioni che siedono sia nel Pd che in Fi. Poi ci sono un paio di emendamenti «bandiera». Quello dei grillini punta a vietare a chi non è candidabile, per esempio per la legge Severino, per esempio a Berlusconi, la possibilità di assumere la qualifica di «capo della forza politica». Ma Berlusconi con il Rosattellum-bis potrebbe tornare comunque in parlamento, una volta riabilitato, grazie alle elezioni suppletive. L’emendamento bandiera di Forza Italia stabilisce invece che «capo della coalizione» è il leader del primo partito alleato. Non è stato concordato con il Pd, ufficiosamente è una concessione tollerata all’orgoglio del cavaliere, ultimamente maltrattato da Salvini. In ogni caso a Renzi non dispiacerebbe.