Rosarno, 7 gennaio 2010: dopo l’ennesimo atto di violenza subìto, scoppia la rabbia dei braccianti africani impiegati nella raccolta degli agrumi. I dannati della terra si ribellano e quello che ne segue sono la caccia all’uomo, i linciaggi, la deportazione di Stato. Quel che è accaduto in quei giorni nella Piana di Gioia Tauro ha fatto il giro del mondo, scosso profondamente l’opinione pubblica, svelato i retroscena dell’agro-bussines, delineato le responsabilità dello Stato italiano. Molte le promesse e i proclami, pochi i fatti.

Ad oggi, a quattro anni da quella rivolta, di questo sistema poco è cambiato. La tendopoli di San Ferdinando è ancora lì, tra migranti morti assiderati e altri colpiti dalla scabbia. «Queste persone sono lasciate sole – ci spiega Arturo Lavorato di Equosud – e in perenne balìa degli eventi. A Rosarno c’è una tendopoli costata un milione di euro, dove vivono ancora oggi 1.500 persone senza luce elettrica, con bagni fatiscenti e in condizioni disumane. Lo Stato è ormai il garante di questo scempio e del girone infernale della transumanza stagionale». Migliaia di persone continuano ancora a lavorare per quattro soldi sotto la costante minaccia della Bossi-Fini, del padrone e dei suoi caporali, e di una guerra tra poveri alimentata dalla crisi. Questa non è Rosarno, è l’Italia. L’Italia dei pomodori, delle patate, delle angurie, dei kiwi. Questo è il sistema agroindustriale, voluto dalla Ue e dalle organizzazioni padronali. Questo è il capitalismo nelle campagne, la filiera tutta italiana dello sfruttamento, che porta il Made in Italy sugli scaffali del mondo e garantisce i profitti alla Grande Distribuzione Organizzata la cosiddetta Gdo. Auchan, Carrefour, Esselunga, stabiliscono il prezzo di acquisto ai produttori, un prezzo che i piccoli sono costretti a subire e le medie-grandi imprese sostengono con l’abbattimento dei costi di manodopera. Sda, Bartolini, Tnt, Dhl, Gls le multinazionali che gestiscono e spostano gran parte del flusso di merci che circolano in Italia, appaltando il lavoro a cooperative che hanno istituito un sistema di vero e proprio «caporalato legalizzato» che impiega per lo più manodopera a basto costo immigrata. Ma in opposizione a questo sistema drogato, c’è chi ha deciso di costruire una rete nazionale, «Campagne in Lotta», ponendo il lavoro e la salvaguardia del territorio al centro delle politiche sull’alimentazione e l’agricoltura, la regolarizzazione dei lavoratori immigrati, la lotta al lavoro nero e al caporalato, l’unità dei braccianti, contadini, operai dell’agroalimentare e lavoratori-consumatori contro i profitti della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) e delle multinazionali. A denunciare questa forma di caporalato di Stato è «Sos Rosarno» che ha organizzato per oggi, nel quarto anniversario della rivolta di Rosarno, una serie di iniziative di protesta davanti ai supermercati Coop di Firenze, Bologna, Livorno, Milano e Roma, dove a largo Agosta avrà luogo la manifestazione principale. Per sperimentare sul campo un’agricoltura altra, unendo le istanze di braccianti africani e piccoli produttori. Per garantire prodotti alimentari sani e naturali a prezzi equi e sostenibili.