Il rischio della mancanza di manodopera nei campi a seguito delle misure per il contenimento del Covid 19 ha puntato ancora una volta i riflettori sulla forza lavoro precaria e iper flessibile rappresentata dai braccianti migranti, e su come questa sia essenziale per la sopravvivenza del modello agricolo industriale. Niente di nuovo, purtroppo, soprattutto per chi da tempo si occupa di analizzare le conseguenze di una filiera del cibo nutrita da aziende sempre più estese e meno attente ai diritti dei lavoratori, proprio per garantire i prezzi al dettaglio troppo bassi richiesti da un mercato alimentare dominato dai supermercati. È quanto emerge chiaro dall’analisi che Mimmo Perrotta, ricercatore di Sociologia presso l’università di Bergamo e promotore di diversi progetti per e con i lavoratori migranti in Basilicata, ha riassunto nel libro Rosarno, la rivolta e dopo, cosa è successo nelle campagne del Sud, uscito a gennaio per Edizioni dell’asino.

Attraverso una raccolta di articoli da lui stesso firmati, pubblicati su Lo Straniero, Gli asini e il Mulino e preceduti da un’esaustiva introduzione, l’autore ci porta nelle terre dello sfruttamento, non solo nel sud Italia ma fuori dai confini stereotipati, e non soltanto geografici, suggeriti dai media mainstream. Il volume analizza la complessità della situazione a partire dalla rivolta dei lavoratori africani di Rosarno del 2010, seguita un anno dopo dallo sciopero di Nardò: due momenti fortemente simbolici e decisivi, in cui i braccianti divennero protagonisti, rompendo l’immagine di totale subordinazione offerta dalla narrazione dominante e svegliando l’opinione pubblica sulla modalità di produzione di cibo della Grande Distribuzione Organizzata.

Perrotta ricorda il modo in cui il comparto agricolo è rapidamente cambiato negli ultimi vent’anni nel nostro Paese, in linea con il resto d’Europa, anche a causa di una Politica Agricola Comunitaria orientata a finanziare le aziende di tipo estensivo, che ha portato alla graduale scomparsa delle piccole aziende famigliari e all’impiego sempre più esteso di lavoratori migranti. A tutto questo si deve aggiungere il forte impatto sulle filiere alimentari delle grandi catene del cibo, che negli ultimi anni hanno assunto il controllo su una buona fetta dei canali distributivi.

Riportando anche l’esperienza dei numerosi gruppi soprattutto autorganizzati che si sono attivati per sostenere le lotte dei braccianti e quelle per l’affermarsi di un’agricoltura contadina, il libro mette in evidenza come, sebbene in passato non siano mancati momenti di maggiore consapevolezza verso le condizioni dei lavoratori stagionali, quali l’uccisione nel 1989 del bracciante sudafricano Jerry Essan Maslo, sia da questo spartiacque che è stata possibile una riflessione più ampia sul problema. Nonostante questo e sebbene le istituzioni siano state indotte ad attivarsi, per esempio attraverso l’emanazione delle leggi contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro, emerge come in questi 10 anni sia di fatto mancata un’azione sulle cause strutturali dello sfruttamento. Queste ultime sono da rintracciare, come suggerito anche dal report delle Nazioni Unite del 2019 sulle nuove forme di schiavismo in relazione alla situazione italiana, nella contrazione dei salari dei lavoratori che consegue alla pressione dei sistemi alimentari su larga scala; alla mancanza sui luoghi di lavoro dei braccianti di una organizzazione normata di trasporti, collocamento e abitazioni e alla vulnerabilità in cui i migranti si trovano a causa delle politiche sulle migrazioni.

«Credo sia importante oggi unire le lotte dei braccianti stranieri per avere un salario migliore, condizioni abitative dignitose e per non essere sfruttati dai caporali a quelle per cambiare la nostra agricoltura», spiega Mimmo Perrotta.

«Come possiamo organizzarla in modo che non produca sfruttamento e in che modo possiamo evitare che i migranti diventino manodopera fragile, vulnerabile e quindi ricattabile? Spero che questo libro possa essere uno strumento utile per stimolare una discussione sul modo in cui le diverse realtà che sostengono le rivendicazioni dei braccianti e dell’agricoltura contadina possano unire le loro forze». Una riflessione quanto mai attuale, nel momento in cui nuovi scioperi si profilano all’orizzonte da parte dei braccianti, mentre si apre l’importante battaglia sulla regolarizzazione.