Anche a Rosa Luxemburg toccò combattere per sfuggire alla condanna di quel «comando» che vuole addomesticare il pensiero femminile subordinandolo all’autorità patriarcale. Una battaglia che affrontò con determinazione e consapevolezza e di cui troviamo tracce eloquenti nelle molte lettere indirizzate all’amato Leo Jogiches: «Tu non ti accorgi affatto che tutta la tua corrispondenza ha un carattere disgustoso: il tono generale è quello di una predica noiosa e pedante, come le lettere del maestro a un caro alunno… Questa è la conseguenza di un tuo vecchio vizio che ha rovinato completamente la nostra convivenza, cioè il tuo vizio di far da mentore, per cui ti senti continuamente chiamato a insegnarmi e a fare sempre e in tutto la parte del mio maestro… Di fronte a questo, non posso che limitarmi a scrollare le spalle».

COSÌ ERA ROSA LUXEMBURG: irremovibile e dura nella difesa della sua autonomia di pensiero. Ma, al tempo stesso, emotivamente troppo scoperta nel suo «amore per il mondo», cioè per le altre specie viventi, per gli animali, le piante, per tutto ciò che non è «umano», ma che vive su questa terra e ne fa parte, esattamente come gli «umani». Questo suo amore per la natura la portò a studiare (soprattutto in carcere) testi di geologia, botanica, zoologia. Ed era tale il suo interesse da farle scrivere: «Mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che a un congresso di partito… Nella parte più intima, appartengo più alle cinciallegre che ai compagni».

E proprio ai suoi compagni di partito e di lotta questa sembrò una contraddizione. Una debolezza. Un sentimentalismo femminile che non aveva nulla a che spartire con la rivoluzione. Anche il «femminista» August Bebel considerava questi suoi interessi come il «vizio» di una donna romantica e il romanticismo era un peccato che non si poteva perdonare a un rivoluzionario. Significava essere poco rigorosi e sistematici e infatti Rosa Luxemburg era «troppo donna e non abbastanza compagna di partito», secondo Bebel. Un giudizio in sintonia con la visione della politica che imperava all’epoca e che di certo nessuno era in grado di sovvertire, in quel contesto e in quel periodo storico. «Non posso insegnarvi a essere umani», si rammaricava Rosa Luxemburg.

BISOGNA ARRIVARE alle eco-femministe dei nostri giorni perché questa sua «etica della cura» che comprende il mondo naturale sembri, al contrario, l’aspetto più nuovo e attuale del suo pensiero politico. Un pensiero che guarda al mondo come a un luogo di condivisione e di necessaria relazione tra le specie e gli individui, che non separa la teoria dall’esperienza personale, che allarga l’orizzonte invece di restringerlo chiudendolo nei dogmi di una dottrina. E che non mette mai in secondo piano la libertà individuale.
Ma non tutte le femministe contemporanee sono disposte a riconoscerle una comunanza di visione. Il rifiuto più netto viene da Alice Schwarzer, tedesca ma fondatrice del movimento di liberazione parigino, che non le perdona di essersi opposta al controllo delle nascite e al famoso grève des ventres, lanciato nel 1913 dai malthusiani. Per Rosa Luxemburg le misure più adeguate e più rispondenti ai bisogni delle donne erano quelle che prevedevano l’assistenza alla maternità, proposte dalla socialdemocrazia, non lo «sciopero dei ventri».

SU QUESTO TEMA ci sarebbe molto da discutere, ma qui mi limiterò ad osservare come la maternità fosse, per Rosa Luxemburg, un punto irrisolto e doloroso della sua vita. Perciò forse vale la pena di ricordare che la donna che si oppose al controllo delle nascite era la stessa che scriveva al suo amato Leo: «Sai cosa mi è successo ieri, mentre passeggiavo al Tiergarten? Ad un tratto mi sono ritrovata tra i piedi un bambino di 3-4 anni con un grazioso vestitino, dei fini capelli biondi, che ha cominciato a guardarmi. Ad un certo momento ho sentito la tentazione di prendere questo bambino e di scapparmene a casa con lui e di tenercelo come se fosse mio. Oh, Leo, non avrò mai un bambino?!».

IN OGNI MODO, al di là di ogni polemica, è innegabile il fascino che il pensiero di Rosa Luxemburg ha esercitato e continua a esercitare sul femminismo contemporaneo, in particolare su quello di matrice marxista. L’accumulazione del capitale, la sua più importante opera di teoria economica, mettendo in tensione le relazioni produttive tra periferia e centro, ha aperto la strada a un’idea innovativa, più globale, del processo di accumulazione capitalista. Un’idea che si ritrova al fondo delle analisi di quei gruppi che, a partire dagli anni Settanta, affrontano il problema del lavoro non pagato delle donne, la «zona oscura» dell’economia politica (come la definisce Claudia von Werlhof). Così succede che, man mano che ci si addentra in questa «zona oscura», le critiche marxiste al lavoro salariato «vengono riadattate in modo da poter essere applicate al lavoro domestico e alle relazioni familiari di riproduzione». E Maria Mies: «la scoperta che il lavoro domestico nel capitalismo è stato escluso per definizione dalle analisi economiche, e che per questo è diventato una colonia e una fonte di sfruttamento non regolamentata, ci ha aperto gli occhi su altre simili colonie di sfruttamento, in particolare nel terzo mondo».

PER QUANTO RIGUARDA l’Italia, l’eco delle teorie economiche di Rosa Luxemburg risuona forte soprattutto in alcuni gruppi di Lotta Femminista o nella campagna internazionale per il salario al lavoro domestico, lanciata nella prima metà degli anni Settanta. Scrivono Antonella Picchio e Giuliana Pincelli: «La peculiarità dei gruppi per il salario al lavoro domestico era data dal fatto che, pur facendo della dimensione domestica il centro della propria riflessione e azione, portavano la critica al sistema del lavoro salariato partendo dal lavoro domestico come base nascosta delle condizioni di sostenibilità dell’intero sistema e come luogo in cui si scaricava la profonda tensione strutturale tra senso del produrre per il profitto e senso del vivere. In tal modo, i conflitti tra uomini e donne venivano intrecciati e non separati dai conflitti di classe».
Io stessa scrivevo, nel 1980: «L’analisi dei mutamenti intervenuti nel ruolo (e lavoro) domestico delle donne ha un rilievo generale: è una chiave di lettura dello stesso sviluppo capitalistico. D’importanza pari all’analisi dei cambiamenti intervenuti nella struttura delle classi».

Allo stesso modo, i rapporti fra occidente e «terzo mondo» possono essere letti con maggiore chiarezza attraverso l’analisi del lavoro della riproduzione e, più complessivamente, del lavoro non pagato: si tratta infatti di un aspetto tutt’altro che marginale del rapporto fra paesi industrializzati e paesi dove è molto diffusa l’economia di sussistenza. Perché lì il processo di accumulazione capitalistica ritrova la sua capacità di espansione.

È dunque questa l’eredità politica e intellettuale che da Rosa Luxemburg è passata al femminismo, in maniera diretta o indiretta: una prospettiva «eterodossa» da cui guardare il mondo, un angolo di visuale che può rendere più chiare le zone d’ombra e le difficili connessioni tra sesso, classe e razza (o, come si dice oggi, le «intersezionalità»).
Un’analisi incompiuta e quanto mai necessaria, perché ancora purtroppo, come diceva Rosa Luxemburg, femminista riluttante, «tutto un mondo di infelicità femminile attende la liberazione».

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SCHEDA: Un atto d’amore per la più grande rivoluzionaria del Novecento

Nel centenario della sua uccisione da parte dei Freikorps, avvenuta nella notte tra il 15 e il 16 gennaio del 1919 a Berlino, il trimestrale «Alternative per il socialismo» dedica un numero alla figura di Rosa Luxemburg e all’eredità del suo pensiero e della sua esperienza. Una scelta, quella della rivista diretta da Bertinotti e Gianni, che non riguarda solo una delle più grandi figure rivoluzionarie del ’900, ma che si configura anche come «un atto d’amore» per chi accompagnò il suo impegno politico con un’attenzione costante verso il mondo circostante. Un omaggio che riguarda anche Lelio Basso, che tradusse l’opera di Luxemburg, e che fu così importante per farla conoscere nel nostro paese, e Rina Gagliardi. Tra i molti saggi compresi nella rivista, oltre a quello di Maria Rosa Cutrufelli, di cui pubblichiamo un ampio stralcio in questa pagina, si possono citare la «Breve biografia» firmata proprio da Gagliardi, il «Ritratto intimo di Rosa» di Ritanna Armeni e quelli a firma di Fausto Bertinotti, «La teoria critica della rivoluzione» e Giacomo Marramao, «Non cercate la terza via nella Luxemburg».