Esponente di quella corrente umanista che annoverò figure del calibro di Cartier-Bresson, Doisneau, Kertész e Lartigue, il fotografo francese di origine ebraica Willy Ronis (1910-2009) è conosciuto soprattutto per alcune immagini in bianco e nero che sono diventate emblematiche di certo Novecento, soprattutto transalpino. Mi riferisco a Gli innamorati della Bastiglia (1957) e al Piccolo parigino (’52) in cui la felicità inventiva si manifesta attraverso il trasognato atteggiamento di due fidanzati di fronte al panorama della ville lumière o la corsa di un bambino sorridente, con una baguette sottobraccio, lungo una strada deserta e assolata che rappresenta l’incognita del suo futuro. Ma la produzione di Ronis comprende una serie di istantanee altrettanto avvincenti di cui ci offre un esauriente florilegio la mostra Fotografie 1934-1998, allestita da Matthieu Rivallin presso la Casa dei Tre Oci della Giudecca, a Venezia (fino al 6 gennaio 2019), che costituisce la più completa retrospettiva mai tenuta in Italia. Vengono presentate infatti 120 immagini vintage (unica nota stonata la mancanza di un catalogo), tra cui una decina dedicate proprio a Venezia.
Tra queste ultime si segnala Fondamente Nuove (1959) che, oltre a configurarsi come tipico esempio della street photography frequentata da Ronis, si può in assoluto considerare una delle foto più riuscite della città lagunare: la silhouette di una ragazzina si avventura lungo una passerella in direzione di alcune brìcole mentre, sullo sfondo ingentilito dall’architettura del Casino degli Spiriti, si nota qualche piccola imbarcazione in movimento nonché un manipolo di bambini, ritagliato in un cielo di cartapesta, affiorante da un altro pontile. Sul versante opposto, lungo la fondamenta, si svolgono scene di usuale conversazione fra gli abitanti alla ricerca di un po’ di frescura. Un’alchimia perfetta resa possibile dalla coincidenza di elementi casuali che solo in quel determinato frangente il fotografo, alla stregua di un demiurgo, è stato in grado di ‘assemblare’, creando un vero e proprio miracolo espressivo.
È significativo che nel libro Derrière l’objectif il fotografo francese isolasse cinque diverse componenti per contrassegnare la sua poetica: pazienza, riflessione, caso, forma e tempo. Una foto riuscita sarà la giusta combinazione di queste variabili. Suddivisa per tematiche, la mostra rende giustizia al rigore con cui Ronis perseguì il suo obiettivo offrendoci uno spaccato della sua produzione che spazia dagli innumerevoli motivi parigini (si ricordino, al riguardo, gli incantevoli scorci paesaggistici di quartieri poco conosciuti come quello di Belleville Ménilmontant a cui dedicò uno dei suoi primi libri fotografici nel 1954) ai reportages di taglio sociale, dai nudi tra cui spicca quello, celeberrimo, della moglie di spalle in un interno disadorno (Nudo provenzale, 1949) alle singolari vedute di paesi esteri, spesso commissionate da testate importanti.
Indimenticabili alcune immagini come La chiatta dei bambini (1959), Andiamo a scuola (’54), Volendam II (’54), Madre e figlio (’52), Vincent aeromodellista (’52), La Ciotat (’47), Bambini di Belleville, sotto la scalinata di rue Vilin (’59) in cui la tematica dell’infanzia viene affrontata in maniera poeticissima e mai banale. Sulla stessa falsariga il motivo ricorrente degli innamorati di cui Ronis presenta un’impressionante serie di varianti che non scadono mai nella gratuità dello stereotipo ma si rinnovano sempre, in virtù di un’adesione alla realtà non comune. Questa capacità mimetica di Ronis configurantesi, non di rado, quale testimonianza di un determinato momento storico (si vedano, al riguardo, gli scioperi nelle grandi fabbriche automobilistiche come la Citroën o la vittoria del Front Populaire alle elezioni del 1936) vira a tratti verso un accostamento di figure di stampo surrealista, anche se avallato dai crismi dell’autenticità: esemplare è il Riposo del circo Pinder (1956) in cui si vedono tre pinguini avventurarsi verso l’uscita di un parco innevato, con sullo sfondo il profilo miniaturizzato di un cavaliere in sella a un destriero bianco.
L’opera di Ronis si può considerare una sorta di panegirico della joie de vivre: in aperta contrapposizione con i canoni del modernismo, tesi a privilegiare la catabasi intesa come approfondita disamina di una condizione umana irretita nelle spire della dissociazione (si pensi, tanto per fare un nome, a Diane Arbus). Non è un caso che il fotografo francese sia riuscito ad affrontare argomenti abusati come quelli succitati con gli occhi nuovi di chi scrisse che «la fortuna è spesso la ricompensa della pazienza».