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Ronald Rael, giochi di confine in Messico

Ronald Rael, giochi di confine in Messico

Architettura Sul lavoro dell'artista e architetto Premio «Design» del museo di Londra, ideatore delle «altalene sul muro»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 luglio 2023

Al confine della cosiddetta «modernità» dei grattacieli c’è El Paso, in Texas, un luogo derubricato a «non luogo» dove gli Stati Uniti benestanti dimenticano di avere una coscienza e dove il Messico poetico di Octavio Paz dimentica quelle nuvole rapide, che modellano il «volto triste dell’America», come diceva una canzone. Ci sono vari modi per parlare del Messico, vari modi per ritornare alle magistrali parole di Frida Kahlo, ma poi, in tutta quell’area, esistono anche chiaroscuri di illegalità molto preoccupanti, a cui è difficile porre rimedio: dai femminicidi incessanti di Ciudad Jarez, alle persecuzioni e alle morti misteriose dei giornalisti fino alle carceri, proprio di El Paso, dove, in diverse occasioni, sono finiti imprigionati quei migranti che non sono riusciti a passare dall’altra parte o che non sono morti prima, in quella terribile e temuta impresa, che da un lato promette futuro e dall’altro fa incontrare la morte. È una storia che si ripete e che si è ripetuta di recente, dopo il venire meno delle restrizioni disumane volute da Trump. Le restrizioni sono venute meno, sì, ma la situazione non è migliorata, come noto, neanche con il governo di Biden, il quale si è affrettato subito a precisare che gli Stati Uniti non sono un territorio aperto alla migrazione dall’America Latina. Ha senso questa frase?

Qualcuno, invece, ha tentato di colorare di ottimismo i confini e di attenuare la bruttezza dell’intolleranza e dei muri, che spesso sono anche tremendi fili spinati simili a lager. Dal 2019, il californiano Ronald Rael, ora conosciuto in tutto il mondo, ha cercato, come architetto e come designer, insieme al suo prestigioso gruppo di lavoro, di rendere più accoglienti questi luoghi della disumanità. In che modo? Rael, anche docente alla Berkeley University, ha convertito «i luoghi della separazione» in luoghi di gioco, tentando così di contenere i traumi che queste azioni pseudopolitiche causano sui bambini, i quali spesso, ai confini, vengono brutalmente separati dai loro genitori. L’opera di Rael ha vinto il premio di designer dell’anno, ha avuto prestigiose esposizioni e riconoscimenti al Moma, ma soprattutto ha lasciato, in noi tutti, un’occasione di profonda riflessione.

Non occorrono molte parole dinanzi alle fotografie di quell’istallazione altalenante al confine tra Stati Uniti e Messico, creata con Virginia San Fratello insieme al Colectivo Chopeke, poi premiata anche dal Beazley Design of the Year 2020 e dal Design Museum di Londra. L’installazione, intitolata Teeter Totter Wall, consiste in tre altalene rosa integrate in un tratto del muro di confine che, proprio nei giorni dei controversi provvedimenti Trump-Bannon, separava El Paso, in Texas, e Juárez, in Messico. Le attrezzature del parco giochi hanno permesso a bambini e adulti, di entrambe le parti divise, di giocare tra loro, quando i lavori sono stati ultimati, nel luglio del 2019. A oggi, l’opera di Rael è un punto di riferimento dell’architettura impegnata nell’accoglienza. «Ci sono così tante ragioni per essere negativi nel mondo e nel proprio lavoro di creativi; ci sono così tante cose che potremmo dire su tutte le crisi che stiamo vivendo nell’età post contemporanea. La domanda è, in un paesaggio come questo, accanto a una struttura come i muri – architettura di violenza – se ci si può ancora ritagliare un pezzetto di gioia e di bontà». Raël dice: «Spero che noi artisti potremo continuare a raccontare storie di dolore con il sapore dell’ottimismo e del lieto fine».

L’architetto californiano ha anche scritto un suo «Manifesto di accoglienza» per le edizioni della California University, in cui racconta: «Il mio primo incontro con il muro di confine tra gli Stati Uniti e il Messico arrivò nell’estate del 2003. Dopo l’11 settembre sono stato invitato dall’artista Marcos Ramírez ERRE per visitare il suo studio a Tijuana». Aggiunge poi: «Essendo cresciuto nei confini linguistici di una famiglia bilingue, ho trovato altrettanto plausibile che Marcos stesse realizzando un luogo di incontro alternativo, come una porta pedonale di ingresso a Tijuana. Ho riflettuto molto su quell’incontro e sulla ricchezza dell’ambiguità che si trova in certe zone della terra, proprio come a Tijuana. Quell’idea è rimasta con me e mi ha portato alla convinzione dell’architettura come arte dotata di significati diversi, per caso o per progettazione, e, allo stesso tempo, seria e umoristica. Ho compreso che l’architettura è un potente strumento per polemizzare efficacemente e per esercitare il pensiero critico. Quella stessa estate ho incontrato l’architetto Teddy Cruz e sono stato introdotto alla sua visione per il design architettonico che attraversa il confine».

Da qui Rael, coi suoi collaboratori, ha iniziato a occuparsi delle linee di confine, delle diversità dei paesaggi e del tema dell’accoglienza. Viaggiando fino alla zona del Big Bend, dove dal ’44 sorge un parco nazionale in una porzione del sud-ovest del Texas, l’architetto della Berkeley Univesity ha esplorato quella «grande curva» formata dalle anse del Rio Grande. Quella zona, ridisegnando i vasti confini col Messico, è ricca di materiali molto diversi, un po’ ricchi e un po’ poveri. Dice Rael: «In quel periodo, il mio studio stava esplorando come realizzare edifici usando fango e cemento (che abbiamo visto come concettualmente paralleli ai contrasti di povertà e ricchezza, simboleggiati dal Messico e dagli Stati Uniti, ma anche dalla polarità fra tradizione e contemporaneità); abbiamo anche guardato ai modi in cui questi materiali potrebbero essere intrecciati: due elementi distinti da lavorare insieme, con l’ottica di un concerto sinfonico».

Alcune di queste progettazioni sono culminate in un progetto intitolato Prada Marfa, in collaborazione con artisti di primissimo livello come Michael Elmgreen e Ingar Dragset. Di che cosa si tratta? Non c’è solo il muro altalenante di confine, ma anche un finto negozio Prada al confine tra Usa e Messico, lungo una desolata autostrada nel deserto di Chihuahuan; il finto negozio, costruito in fango e contenente la lussuosa linea 2004 di scarpe e borse Prada, incarna ed esagera le dicotomie culturali e geopolitiche delle terre di confine. Durante la costruzione di queste opere gli architetti raccontano di aver assistito spesso alla discesa di elicotteri di Ong per raccogliere i migranti assetati.

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