Ghiaccio, entropia, un blu che sa di oblio e veglia, storie che si annidano nei fossili, bagliori di un futuro remoto in un mondo disabitato: cori per un’epoca infetta quelli che abitano le stanze di questo eccellente secondo disco su Pyroclastic Records (l’etichetta della pianista Kris Davis) per il collega e compositore Cory Smythe, già nel trio di Tyshawn Sorey e con un progetto in cantiere assieme a Peter Evans e Craig Taborn. I nomi citati fanno capire in quali territori ci muoviamo: avant jazz della più bell’acqua, ispirato a Lift every voice dell’indimenticato Andrew Hill, e capace nello specifico di tracciare una rotta nei mari del grande Nord del suono, rompendo iceberg. Un sestetto atipico, dove al piano e all’elettronica del leader si affianca un quintetto vocale, per un risultato che sta in un qualche posto impensato tra gospel alieno, ambient irrequieta, soul sperimentale ed affilate ombre contemporanee ad allungare il profilo di madrigali imprendibili ed astratti, come sonorizzazioni di viaggi nelle profondità di oceani boreali o verso alture irraggiungibili. Un passaggio dantesco in un inferno bellissimo, pieno di minacce e promesse.