In sé, potrebbe anche essere una vicenda trascurabile. Ma quel che contiene, quel che evoca appaiono invece elementi sostanziali. Siamo parlando del nuovo logo con cui la città di Roma ha deciso di rilanciare la sua immagine internazionale: Rome & You.

Non che la capitale non avesse bisogno di ravvivare il suo profilo urbano, piuttosto deteriorato negli ultimi anni, compresi gli ultimissimi, tra maiali che razzolano per le strade e la desolante incuria della sua intera morfologia. Ma quest’idea di proporsi in uno stile così conforme all’ormai esausta semiotica globalizzata, finisce per appiattire e scolorire senso e connotati di una città che, al contrario, ne avrebbe a iosa di esclusive originali e perfino uniche.

La scelta estetica dell’amministrazione è insomma pigra e insapore: non suscita alcunché, non vibra, non riscalda. Somiglia un po’ al sindaco, sussiegoso e insieme algido, attentissimo nel preservare le sue estraneità. Se è stata pensata per accendere immaginari o intercettare interessi, sarà difficile raggiunga il suo scopo. I nativi non se ne accorgeranno e, di certo, non vi si riconosceranno. Tutti gli altri è probabile ne restino indifferenti, trovandola minimale e ripetitiva, neutrale come una guardia svizzera.

Stucchevolezze confidenziali

Ha un che di plastificato, questo logo: progettato sulla scia dei cuoricini, delle stelline, delle paroline, delle stucchevolezze confidenziali che un po’ tutte le città hanno adottato. Roma è come tutte le altre, appunto. Un messaggio che vuol essere rassicurante, ma che nel suo conformismo è come se annullasse quella (magnifica) diversità che pochissime capitali al mondo possono vantare. Rischiando dunque di spegnere tensioni e desideri, che come sappiamo hanno bisogno di scintille e non di pioggerelle, di guizzi e non di tremolii.
Potremmo limitarci a ritenere quest’iniziativa uno scialbo tentativo dai deludenti esiti. O forse una flebile mossa di discontinuità con cui la nuova amministrazione progressista di Ignazio Marino ha voluto ribattere con linguaggi contemporanei all’impronta arretrata e polverosa della vecchia amministrazione conservatrice.

Ma siamo sicuri che la contemporaneità si esprima attraverso pillole mercantili e locuzioni anglofone, ammiccamenti cromatici e smielati sussurrii? O non piuttosto valorizzando uno stato di natura, e cioè la città così com’è, nei suoi mille strati, nelle sue mille trame, nel suo fascino inconfondibile? Rappresentando insomma Roma come risorsa di se stessa? Le sue mille bellezze, le sue atmosfere sociali, la grande vivacità artistica e culturale, l’immaginario emotivo che sprigiona, il suo strepitoso patrimonio storico, la sua stessa storia, sì, i tremila anni di storia che la rendono unica sul pianeta.

Dagli istinti identitari allo zibaldino

Arcaismo? Nostalgie? Cedimento agli istinti identitari? Ancora la Lupa e il Colosseo? Ancora Caravaggio e Michelangelo? Ancora Garibaldi e la Repubblica romana? Ancora Teresa Gullace? Ancora Mamma Roma e la Dolce vita?

La condivisibile intenzione di superare l’immagine grottescamente impettita dell’ex sindaco Alemanno con la sua «Roma capitale», ha finito per depositare un inconsistente zibaldino. Un composto grafico-concettuale che cerca di sintetizzare i codici, i segni, le tracce che girano intorno a quella scricchiolante giostra della competizione turistico-commerciale, affinché si possa offrire sul mercato internazionale una città-merce. Apparire moderni e concorrenziali, ecco dove nasce Rome & You: declinato rigorosamente nella lingua colonialista.
Il senso di appartenenza di una comunità, così come la magnetica magia di un luogo meraviglioso, non si possono esprimere uniformandosi alle tendenze politico-estetiche prevalenti, sol perché «cosi fan tutti» o perché ci si debba scarnificare e decolorare per compiacere la mediocrità.

Forse è impossibile sintetizzare forme e linguaggi che possano comunicare tanta ricchezza, con tutta la necessaria tensione sentimentale. Di sicuro, non con quattro banalità in lingua inglese.