Se Romain Gary fu nei fatti uno e bino in quanto scrittore, come personaggio non si dispiacque di presentarsi al mondo per ciò che sentiva di dover essere, vale a dire un putiferio di dissomiglianze e difformità anche clamorose, rischiando non di rado l’azzardo periglioso o addirittura la deriva grottesca. La vocazione vitalistica accecava in lui ogni intelligenza del limite e ogni riguardo per la salvaguardia di sé e del proprio talento. Aviatore in odore di eroismo negli anni del secondo grande conflitto mondiale, diplomatico, uomo di mondo, viaggiatore, avventuriero, gollista e anarchico insieme, di volta in volta plebeo e aristocratico, riservato e esuberante, conservatore e progressista, solitario e esibizionista, libertino e moralista, estremista e moderato, «picaro moderno» per quel tanto di cosacco, di tartaro e di ebreo che non si stancava di esibire, patriota e antinazionalista, Gary nutrì il proprio mito con furia e determinazione, senza fermarsi, fino alla messa in scena dell’elegante suicidio, quando fece in modo che il sangue si spandesse su una vestaglia da camera del medesimo colore per non impressionare i soccorritori.

Si capisce come il problema irrisolto, o risolto male, di Gary fosse lo spettatore. Era il pubblico a insidiarne le qualità, i pensieri, le idee, la postura. Quando gli capitava – e gli capitava spesso – di dover rispondere alle domande dei giornalisti oppure di intervenire sui giornali intorno a questioni inerenti la politica e il costume, la sua tenuta intellettuale vacillava e franava, mandando quasi in frantumi la certezza che proprio lui fosse l’autore di Educazione europea, uno dei romanzi più belli mai dedicati alla lotta resistenza al nazismo. Già La notte sarà calma, il libro-intervista di argomento autobiografico, suscitava a tratti non poche perplessità per quel tocco insistito di strafottente, tronfia, impostata naïveté spirituale. Così ora, leggendo Delle donne degli ebrei e di me stesso (Neri Pozza, traduzione di Riccardo Fedriga, pp.142, euro 12, 50), la qualità e il livello argomentativo non cambia e semmai sprofonda. Si tratta di una raccolta di pezzi giornalistici d’occasione e di interviste che coprono un arco di tempo considerevole, dal 1944 al 1977, imperniati (a parte un paio di reportage e il solito questionario di Proust) su temi di stretta attualità, politici e polemici, e autobiografici. Gary dice la sua sulla droga, la pornografia, la moda, le donne e il femminismo, l’omosessualità, la questione ebraica e altro ancora, in una inesauribile girandola di trovatine, battute e piccole e delle volte miserevoli provocazioni.

Scrive ad esempio, nel 1972, in un «Diario di un irregolare» (la definizione di «irregolare» pare giustificare tutto, com’è noto): «Non ho assolutamente nulla contro gli omosessuali. Più ce ne saranno e più continuerò a godere della felicità, considerata la penuria e, soprattutto, l’avvicinarsi di un’età in cui la concorrenza rischia di togliermi di bocca il sapore del buon pane appena sfornato». E a commento del film La souffle au coeur di Louis Malle (1971): «Se consumare con mammà è l’ultimo grido, cosa vuole che le dica caro il mio intervistatore?» (considerazione fatta seguire da una vera e propria barzelletta su una famiglia incestuosa). E rispondendo a una ipotetica e (ci si augura) fittizia giornalista che gli domanda se gli fosse capitato di «constatare che la creatività diminuisce con il declino della sessualità»: «Constatare? Ma dico, sta scherzando? Constati pure lei stessa!». O, alla domanda del questionario su chi avrebbe voluto essere: «Leonardo, se non fosse stato pederasta».
Cosa dire? Si può pensare che Gary, per ragioni generazionali e innanzitutto per formazione culturale, non capisca il femminismo e ne sia terrorizzato (egli, tra l’altro, mette in bocca al movimento idee e propositi che il movimento non si è mai sognato di sostenere), ma quando parla delle donne o è volgare o è paternalista. Ugualmente volgare, seppure ammirato, è l’agrodolce ritrattino di Sartre. Come ogni buon reazionario, rivendica continuamente di essere e di sentirsi un uomo libero. Insomma: si esce volentieri dal Bar Sport Gary.