Man mano che passano le ore e la riunione dell’Eurogruppo slitta, a Roma si diffonde un moderato ottimismo. Certo sarà un compromesso e per definizione nessun compromesso può combaciare con le richieste di una delle due ali estreme, in questo caso l’Italia e l’Olanda.

Però dovrebbe avvicinarsi più alla posizione italiana che a quella dell’Olanda e di buona parte dell’establishment tedesco, che spinge e sostiene dietro le quinte il governo Rutte.

Ma quando il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto le sfumature sono tutto: nell’immagine, che in politica ha la sua notevole importanza, e per una volta anche nella sostanza.

Se il documento finale dirà che il Fondo comune proposto dalla Francia, in sostanza i «coronabond» depurati solo del nome, deve essere «istituito», per Conte sarà comunque un successo netto. Se invece il Fondo dovrà solo essere «discusso», come alla fine è nel testo, tutto tornerà in alto mare almeno sino alla riunione dei capi di Stato, in data da destinarsi.

IL MES CI SARÀ, anche se non nelle forme draconiane che vorrebbe l’Olanda. Per la maggioranza anche in questa forma light è un problema enorme.

Il rifiuto del Fondo salvastati è uno dei pilastri del M5S, uno di quelli sui quali è molto difficile cambiare linea di punto in bianco. Ieri 22 parlamentari pentastellati hanno presentato una serie di proposte di politica economica, implicitamente critiche con la linea troppo moderata del reggente Crimi, con l’obiettivo dichiarato di «definire un nuovo modo di stare in Europa nei prossimi mesi e anni».

Crimi, dal canto suo, non ha alcuna intenzione di farsi scippare le redini dell’opposizione al Mes: «Oggi qualcuno in Europa parla di solidarietà, ma se la parola viene svuotata di contenuti concreti non ha alcun valore».

Dagli spalti 5S le raffiche sono continue. Una nota ricorda ai «tedeschi fautori di stereotipi anacronistici» che per contrastare le mafie, realtà europea e non solo italiana, servono proprio gli eurobond. Le dichiarazioni pentastellate a favore dei bond europei si accumulano nel corso della giornata.

In parte a pesare è il dna del Movimento, in parte la competizione con un Salvini mai così scatenato: «Sono stufo di chiedere il permesso della Ue per salvare la vita degli italiani. Se il governo firma anche mezzo Mes mozione di sfiducia».

Ieri la levata di scudi contro il pessimo articolo di Die Welt («In Italia la mafia aspetta gli aiuti europei») è stata corale e unanime. Ma se la posizione dell’Eurogruppo apparisse troppo lontana dalle esigenze italiane i dividendi dell’indignazione bipartisan li incasserebbe la Lega.

La via d’uscita dovrebbe essere un Mes «facoltativo» a cui l’Italia affermerebbe di non voler fare ricorso, salvo poi, se necessario, chiedere invece un prestito però limitato e dunque restituibile con relativa facilità.

Ma l’escamotage può funzionare solo se contestualmente verrà avviato il Fondo comune. Non è questione d’immagine. L’Italia si troverà tra pochi mesi con un debito di circa 160 miliardi: reggerne il peso sui mercati, senza il sostegno dei titoli europei, sarà impossibile.

Per ora e ancora per un po’ a salvare la situazione è l’acquisto di titoli italiani, senza più tetto, da parte della Bce sul mercato secondario. Ma, passata la fase acuta dell’emergenza, non ci vorrà molto perché in Europa qualcuno punti il dito contro quella che è a tutti gli effetti una condivisione del debito de facto.

Un po’ per questo, un po’ per la consapevolezza di dover mantenere l’appoggio dei 5S pena l’affondamento del suo governo tra pochi mesi, Conte ha deciso di seguire una linea ben diversa da quella che avrebbero di gran lunga preferito sia Gualtieri che il Pd. Ha alzato la posta sino a minacciare, ancora due giorni fa, di «fare da soli».

È un azzardo reso necessario dalle circostanze per un premier che intende restare tale a lungo e quindi deve parare da subito il rischio che alla crisi sanitaria, economica e sociale si accosti, per dare il colpo di grazia, quella finanziaria.

QUELLO EUROPEO non è il solo scoglio che mette la nave del premier a rischio di naufragio. Ieri, con tre giorni di ritardo, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il «decreto liquidità» e basta scambiare due parole con qualsiasi esponente della maggioranza per scoprire insoddisfazione e preoccupazione. Perché i vincoli burocratici sono rimasti quasi tutti, le dinamiche d’erogazione sono farraginose, il rischio che gli aiuti arrivino con i tempi della burocrazia invece che con quelli dell’emergenza altissimo.

Sarebbe un esito disastroso.