Il problema è convincere Guido Bertolaso, il candidato-brocco, a fare un elegante passo indietro senza traumi e tragedie. Con questo rovello si è svegliato ieri mattina Silvio Berlusconi ma a sera, quando il defenestrato è entrato a palazzo Grazioli, non aveva ancora risolto il problemino. L’offerta sarebbe quella di una lista unica, con lo stesso Bertolaso in postazione eminente. Però bisognerebbe convincere tutti gli alleati e non sarà facile. Così, a sera, quando pareva certo che oggi pomeriggio alle 18 l’ex ministra della Gioventù avrebbe annunciato di essere la candidata anche di Forza Italia e della Lista di Francesco Storace, la partita si riapre.

Il summit della notte precedente con lo stato maggiore azzurro aveva lasciato spazio esiguo ai dubbi. Nessuno aveva difeso la candidatura dell’ex capo della Protezione civile. Parlano contro di lui i sondaggi, che per una volta Alessandra Ghisleri deve tenere segreti. Quale percentuale venga accreditata a Bertolaso è un segreto, però si sa che anche il 10%, molto inferiore alle previsioni, è un obiettivo del tutto irragiungibile. In compenso Giorgia Meloni galoppa. Naviga in prossimità del 20% da sola.

La traduzione in termini di seggi sarebbe l’ingresso di un solo consigliere azzurro, e questo nessun partito può permetterselo. Tener duro su Bertolaso vorrebbe dire assistere nelle prossime settimane a una processione in direzione d’uscita dall’ex partitone-azienda, al grido di «Si salvi chi può». Per questo nella notte tra mercoledì e giovedì la vera contesa non era già più sulla permanenza di Guido Bertolaso ma su chi scegliere tra Marchini e la sorella d’Italia. A sostegno di «Arfio» c’è un solo argomento: convergere su di lui avrebbe valenza strategica, significherebbe porre le basi per la ricostruzione di un’area di centro destra non radicale, riunificando gli spezzoni esplosi negli ultimi anni e facendo perno sulle solite «espressioni della società civile».

Ma i numeri sono impietosi, la percentuale accreditata a Marchini è tanto opaca quanto quella del ronzino targato Protezione civile. E con la Meloni il miraggio è allettante. Ognuno ha i suoi guai. Se Bertolaso si è rivelato una fregatura formato dinosauro a Roma, altrettanto dicasi, sul fronte opposto, per Beppe Sala a Milano. Dire che non funziona è poco. Parisi lo tallona sempre più da vicino, anche perché Salvini gioca a fare l’orco a Roma ma quando gioca a casa sta ben attento a non farsi sfuggire una frase di troppo. La decisione di comunicare i dati dell’Expo solo a urne chiuse, inoltre, certo non aiuterà il candidato di Renzi. Insomma: c’è la possibilità concreta di vedere il Pd sconfitto a Milano e tagliato fuori dai ballottaggi a Roma e Napoli. Un disastro per Renzi. Il rientro in partita alla grande per il centrodestra.

Tanto più che a Roma, con la Meloni, il ballottaggio sarebbe praticamente certo ma addirittura la vittoria, pur se improbabile, non è esclusa. Alla fine Berlusconi si era convinto. Non così il suo “cerchio magico”, che vede messo in gioco il potere che ha acquisito nel partito e ha quindi ingaggiato uno scontro finale con l’obiettivo di confermare Bertolaso facendo leva sui dubbi di Berlusconi. Per il cavaliere mollare vuol dire riconoscere che lo scettro non è più nelle sue mani. Il partito pro-Bertolaso, che gioca una partita che ha per posta in gioco il potere nel partito molto più che non il Campidoglio, lo sa e fa leva su quella lacerazione.

Un passaggio decisivo avrebbe potuto essere il summit notturno fissato con Meloni e Salvini ma il leghista ha dato forfait all’ultimo momento e la spinosa faccenda dovrà essere affrontata nei prossimi giorni. Sempre che si arrivi davvero all’accordo. Quanto al quarto contendente, Francesco Storace, ha già comunicato la sua disponibilità a convergere su un candidato unitario, mentre Marchini resterà comunque in lizza.

Il momento finale della verità arriverà davvero questa mattina, nel comitato di presidenza forzista a palazzo Grazioli. Se nella notte la diplomazia non riuscirà a creare le condizioni per un disarmo bilaterale potrebbe finire in uno scontro frontale decisivo sia per la sorte delle elezioni a Roma che per gli assetti futuri di quel che resta di Forza Italia.